Alberto Angela, in una lunga intervista al Corriere, si racconta nel momento più intimo della sua vita: i tre figli – Riccardo, Edoardo e Alessandro – sono cresciuti e "decollati", la casa si è svuotata e il silenzio è rimasto il silenzio. È il passaggio che molti genitori conoscono: la fine di un capitolo familiare e l’inizio di uno nuovo, tutto da inventare. "Ora tocca a me guardarmi allo specchio", dice con la consueta serenità.Ventitré anni fa, nel deserto del Niger, "il bivio della mia vita": rapito per alcune ore da banditi, pensò di non rivedere più i figli. In quella notte di terrore trovò però una lucidità straordinaria: "Dovevo farmi stimare da loro, mostrarmi sicuro, un antagonista valido, così da non dare appiglio per premere il grilletto".
Ne uscì vivo grazie alla calma e alla diplomazia. Oggi dedica ai figli il nuovo libro "Cesare. La conquista dell’eternità", che trasforma il De Bello Gallico in un grande racconto d’avventura. L’impresa che lo colpisce di più è il ponte sul Reno costruito da Cesare in soli dieci giorni con il fiume in piena: "Ancora oggi non si capisce esattamente come abbia fatto" Il messaggio ai ragazzi è chiaro: "Cesare insegna a credere in sé stessi, a non abbattersi davanti alle difficoltà". Ma Alberto rifiuta di dare ordini: "Ai figli non si dice mai cosa devono fare: si spiega, si racconta, si offrono le cartine stellari. Poi sta a loro esplorare l’universo". Da papà Piero ha ereditato disciplina e umiltà ("lavorare tanto, in silenzio, con la testa bassa"). Ai suoi figli ha cercato di trasmettere la curiosità e la libertà di scegliere la propria rotta.




