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Mini naja? Educa i giovani e libera i militari dalle vigilanze

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Tommaso Montesano
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L’analisi più lucida su ciò che bolle nella pentola del governo l’ha fatta il generale Marco Bertolini, un passato da comandante Nato in Afghanistan e al vertice del Comando operativo di vertice Interforze (Coi). Commentando la proposta, annunciata dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, di ripristinare una “mini naja” di 40 giorni per i ragazzi fino a 25 anni, Bertolini ne ha sottolineato il «vantaggio di poter incidere sull’educazione dei giovani che hanno la necessità di essere educati all’etica del dovere e non solo a quella dei diritti». Ecco, al di là di quello che sarà il perimetro tracciato dal disegno di legge che la maggioranza presenterà in Senato (durata, ambiti e platea di applicazione), è questo il messaggio che si porta dietro l’ampliamento del servizio militare volontario. Ovvero la possibilità, non l’obbligo, di servire l’Italia indossando una divisa anche al di fuori del professionismo, che resta il pilastro principale sul quale si reggono le Forze armate dopo la sospensione della leva obbligatoria.

Una via di mezzo tra la situazione attuale e quella antecedente al 2000, che si porterebbe dietro anche altri vantaggi: la possibilità di costituire una riserva, oggi assente («attualmente le Forze armate italiane hanno solo le unità in servizio», ricorda Bertolini); l’opzione di mettere a disposizione della sicurezza un ulteriore tassello, una sorta di “Guardia nazionale” italiana da impiegare in circostanze eccezionali, ad esempio in caso di calamità naturali; nonché l’occasione per formare, e in modo diverso a seconda della specialità di destinazione, giovani che poi potrebbero sfruttare le conoscenze acquisite nel mondo del lavoro (si pensi, ad esempio, al conseguimento della patente D e D1 per la guida di autobus e minibus).

ALLARME NUMERI
E poi c’è un altro aspetto. Oggi alle Forze armate, come chiunque può verificare muovendosi in città- soprattutto in quelle più importanti- sono affidati anche compiti di vigilanza dei cosiddetti “obiettivi sensibili”. Conseguenza della partecipazione dell’Esercito italiano all’operazione “Strade sicure”, varata nell’agosto 2008 «in relazione alle straordinarie esigenze di prevenzione e contrasto della criminalità e del terrorismo» e prorogata alla fine del 2020. Operazione, si legge sul sito dell’Esercito, che ancora oggi rappresenta «l’impegno più oneroso della Forza Armata in termini di uomini, mezzi e materiali». La considerazione è fin troppo semplice: non sarebbe il caso, con l’ausilio della prossima “mini naja”, di alleggerire la Forza armata da questi compiti di semplice vigilanza per restituire i nostri militari alle mansioni che gli sono più confacenti? Il generale Bertolini ha denunciato l’eccessiva riduzione del personale militare «a numeri e quantità molto basse, risibili».

Un nuovo fronte di reclutamento, ancorché limitato nel tempo e non professionale, rappresenterebbe una boccata d’ossigeno per la Difesa, che potrebbe destinare il nuovo personale, seppure a rotazione, a quei compiti cui un militare in carriera certo non assolve facendo salti di gioia. La destinazione dell’Esercito ai «servizi di vigilanza di siti e obiettivi sensibili, inclusa la vigilanza ai Centri per l’immigrazione, nonché compiti di perlustrazione e pattugliamento in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia» poteva avere un senso sull’onda degli attentati dell’11 settembre 2001 e dell’allarme terrorismo. Oggi che lo scenario internazionale, tragicamente, riporta l’attenzione sulla necessità di allertare le Forze armate per ciò che accade lungo il fronte orientale a causa del conflitto tra Russia e Ucraina, è un delitto legare la maggior parte delle divise alla vigilanza di ambasciate e migranti. 

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