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Dean Gregory, il padre di Indi: "Mia figlia è forte, merita la possibilità di vivere ancora"

Hoara Borselli
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«Io voglio che la mia bambina viva. Viva per più tempo possibile. Lei è una bambina che vuole vivere. Mi rispondono che ha una malattia che non si può curare. Che al massimo può vivere ancora per qualche anno. Ok. Voglio che viva e sia felice per il tempo che sarà. Per più tempo possibile. Non voglio che sia uccisa dalla decisione di alcuni burocrati. E sono molto grato all’Italia e al governo italiano, che ci hanno offerto l’unica possibilità vera di strapparla alla morte». Chi parla così è il signor Dean Gregory, è il padre della piccola Indi, 8 mesi, cittadina del Regno Unito. Lei è affetta da una patologia mitocondriale che molti medici giudicano incurabile. Il padre di Indi dice che c’è una differenza tra dire incurabile e dire che debba morire oggi, subito.

Come sta, signor Gregory?
«Mia moglie Claire ed io stiamo facendo del nostro meglio per far fronte a molte pressioni. Siamo preoccupati, impauriti, lo capisce. Ma siamo incoraggiati dalle notizie che arrivano dall’Italia e che ci hanno restituito un po’ di fiducia nell’umanità».

 

 

 

La forza di Indi, della bambina, le sta insegnando qualcosa?
«È molto stimolante. L’ospedale l’ha abbandonata molto tempo fa, ma lei ha continuato a dimostrare che i medici si sbagliavano. So che Indi ha una grande forza e che sta combattendo. Merita la possibilità di vivere. Non chiediamo molto. Vogliamo solo che riceva le cure che possono farla vivere più a lungo: che siano 5 anni, o 2 o 3, non importa, vedremo. Purché abbia le migliori possibilità».

Che tipo di bambina è?
«Le piace farsi accarezzare i capelli e ascoltare musica, ed è animata quando non è fortemente sedata. Nonostante la sua disabilità è una bambina felice».

Come state vivendo queste ore drammatiche lei e sua moglie?
«Per noi è stato davvero importante mantenere la calma, soprattutto in ospedale. C’è molta pressione, alti e bassi, ma ne vale la pena. Noi non ci arrendiamo, vogliamo lottare per nostra figlia».

C’è il rischio che a Indi tolgano i supporti che la tengono invita prima di trasferirsi in Italia?
«Temo di si. Questa è la nostra più grande paura. L’ospedale è preoccupato per la sua reputazione e ha chiarito che crede che sia nel “migliore interesse” di Indi morire in questo Paese. Dicono così: “morire”. Abbiamo ricevuto molte minacce da parte dei medici che la curavano e la loro posizione è sostenuta dai tribunali del Regno Unito. Il “sistema” del Regno Unito è contro di noi».

Dicono che potrebbero staccare la spina oggi...
«Prendiamo ogni momento come viene. Nei momenti critici ho avuto attacchi di panico, è stato complicato andare avanti. Alle 14 sapremo se la lasceranno uscire».

La decisione del governo italiano di concedere la cittadinanza a Indi vi dà qualche speranza?
«Quando è arrivata questa notizia è stato un enorme shock e una cosa bellissima. Significa tutto per noi, è difficile descrivere l’emozione. Il mio cuore si riempie di gioia per il fatto che gli italiani ci hanno ridato la speranza. Gli italiani ci hanno mostrato attenzione e sostegno amorevole e vorrei che le autorità del Regno Unito fossero come le autorità italiane».

Pensa che Indi possa essere salvata se viene curata?
«Sì, ci sono molti esempi in tutto il mondo di bambini che hanno superato e convissuto con la malattia. Le prove mediche degli esperti hanno accertato che può sopravvivere se le viene somministrato il trattamento giusto».

I giudici inglesi l’hanno condannata a morte. Questo fa male, immagino, più di ogni altra cosa...
«Claire e io ci sentiamo enormemente delusi. È stato straziante sapere che non le hanno dato una sola possibilità di sopravvivere. Era già abbastanza difficile sentirsi dire che il servizio sanitario nazionale e i tribunali volevano interrompere le cure di supporto vitale. Sentirsi dire che non potevamo neanche trasferirla in Italia è stato insopportabile».

In cosa sperate ora?
«In una svolta diplomatica».

 

 

 

Vi colpisce l’assurdità di una burocrazia chiamata a decidere sulla sorte di una bambina?
«I nostri diritti di genitori sono stati calpestati e fatti a pezzi. Questo è già successo ad altri genitori nel Regno Unito. È chiaro che ci vuole una riforma. È così ovvio per così tante persone che deve essere permesso a Indi di andare in Italia a curarsi. Come può essere nel “migliore interesse” di qualcuno morire?»

Voi avete accettato subito l’offerta italiana? O ci sono delle alternative?
«Certo che abbiamo accettato. L’unica alternativa che ci è stata offerta è la morte di Indi. Eppure le perizie mediche degli esperti hanno indicato un modo di trattare Indi che potrebbe salvarle la vita e farla stare meglio. Ma il gruppo dei medici che è stato chiamto a decidere si è rifiutato con rabbia di prendere in considerazione questa via. Il giudice Peel ha semplicemente approvato la posizione del trust dei medici».

Quindi ora battaglia per andare a Roma?
«L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ci ha dato una vera possibilità che vogliamo cogliere per nostra figlia. Anche se il trasferimento in Italia comporta qualche rischio, non c’è nulla da perdere né per noi né per Indi. Dato che le prove mediche suggeriscono che ha una ragionevole possibilità di sopravvivere e di migliorare, riteniamo che sia nel suo interesse avere questa possibilità. Continuiamo a essere inorriditi dal rifiuto del Trust e dei tribunali del Regno Unito di darle questa possibilità».

Come è stato possibile questo cinismo del sistema inglese?
«È un sistema unilaterale. Il servizio sanitario nazionale, gli avvocati, i medici si sostengono a vicenda, si comportano come amici e pranzano anche insieme. La famiglia non ha alcuna possibilità e non ha diritti. Sono rimasto scioccato dalle testimonianze esagerate che i professionisti hanno fornito in tribunale cercando di dimostrare che Indi sta soffrendo terribilmente. Un’infermiera ha raccontato di aver visto Indi sussultare dal dolore quando le ha dato la medicina. Una ha detto che ha attacchi di tosse che durano fino a 10 minuti. Non è vero, io e Claire passiamo fino a 10 ore al giorno con Indi e restiamo anche la notte se ci sembra che stia male. Se pensassi per un momento che mia figlia stia soffrendo, interromperei le cure, ma non è così. I video di Indi lo dimostrano».

Lei è religioso?
«Non sono religioso e non sono battezzato. Ma quando ero in tribunale, mi sentivo come se fossi stato trascinato all’inferno. Pensavo che se esiste l’inferno, allora deve esistere anche il paradiso. Era come se il diavolo fosse stato lì. Pensavo che se esiste un diavolo, allora Dio deve esistere. Una volontaria cristiana visitava ogni giorno il reparto di terapia intensiva e mi ha detto che il battesimo ti protegge e apre la porta del paradiso. Sono rimasto davvero colpito anche dai miei avvocati del Christian Legal Center e dal modo in cui mi hanno aiutato, e dalla loro dedizione. Era come se il battesimo di Indi fosse anche un modo per riconoscere il loro lavoro. Ho visto com’è l’inferno e voglio che Indi vada in paradiso. Infatti, ho deciso che anche io e mia figlia dovremmo battezzarci. Vogliamo essere protetti in questa vita e andare in paradiso».

I giornali inglesi sono dalla vostra parte?
«Molti media britannici si sono interessati al caso e sia loro sia il pubblico britannico non capiscono perché Indi non possa essere trasferita in Italia».

La politica inglese si è occupata di questo caso?
«C’è stato silenzio da parte dei politici e della Chiesa d’Inghilterra».

A chi vuole rivolgersi affinché intervenga ed eviti che venga staccata la spina a sua figlia? 
«Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, e il Papa».

Per lei oggi qual è l’ultima speranza per Indi?
«L’Italia».

Si aspettava questa risposta immediata da parte del governo italiano?
«No, è stato uno shock, ne sono rimasto stupito e sarò sempre grato all’Italia qualunque cosa accada nelle prossime ore e nei prossimi giorni. All’inizio quasi non ci credevo, era un’offerta così bella. Ero molto emozionato. Avevo perso ogni fiducia nell’umanità quando ho ricevuto quella notizia. Non potevo credere che l’Italia fosse disposta ad accogliere una bambina che non conosceva e che non era una sua cittadina. È stato travolgente. Il Regno Unito ha voltato le spalle a Indi e l’Italia è arrivata per offrire una mano».

Ha detto Giorgia Meloni: «Dicono che non ci siano molte speranze per la piccola Indi, ma fino alla fine farò il possibile per difendere la sua vita. E per difendere il diritto di mamma e papà di fare il possibile per lei».
«È molto toccante e surreale da leggere. Significa moltissimo per noi. Siamo estremamente grati. È difficile da esprimere a parole». 

 

 

 

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