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Ignazio La Russa: "Quell'unica volta che da capo scout diedi degli ordini ai rossi"

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Fabio Rubini
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Verona fino a domenica ospita il raduno delle guide scout che festeggiano i Cinquant’anni dell’Agesci, l’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani. Uno dei volti noti dello scoutismo italiano oggi siede sulla poltrona della seconda carica dello Stato. Si tratta del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha accettato di raccontare a Libero la sua esperienza da “lupetto”.
Presidente, quando ha militato negli scout?
«Sono entrato a sette anni e mezzo come lupetto, poi ho fatto lo scout fino a circa 13 anni, quando con la mia famiglia mi sono trasferito a Milano. A quei tempi l’organizzazione si chiamava Asci, Associazione scout cattolici italiani. Il mio “Baloo” (così viene chiamato l’assistente ecclesiastico dei lupetti, ndr) era un domenicano».

Che ricordi ha di quella esperienza?
«Bellissimi ovviamente.Ho fatto anche due campi estivi e in uno di quelli sono stato capo sestiglia dei rossi... (La Russa scoppia a ridere al telefono)».

Scusi presidente, perché ride?
«Mi passi la battuta... è stata la prima e unica volta che ho comandato dei rossi...».

Bella questa. Altri momenti che le sono rimasti nella mente?
«Ricordo ancora a memoria le canzoni che scandivano la giornata dello scout (ne canticchia un paio al cellulare). Ma la cosa più bella che mi è rimasta scolpita nella memoria è la giovialità con la quale si affrontava la competizione. Sì, perché essere uno scout voleva dire anche essere in competizione con gli altri ragazzi. Ricordo che c’era un tabellone sul quale accanto al nostro nome e cognome venivano posizionate delle puntine ogni volta che uno di noi superava una prova. Il tutto però avveniva ovviamente con impegno, ma senza gelosia e con grande senso di collaborazione».

Un po’ come la politica di oggi...
«Insomma...».

Presidente, ma nella sua esperienza da scout non ha mai combinato qualche marachella?
«In effetti in quegli anni ricevetti la mia prima lavata di capo a cauda della politica».

Ce la racconta?
«Con un mio amico stavamo volantinando a favore di una lista civica dove all’interno vi erano anche esponenti del Movimento socaile italiano. Diciamo che era il centroestra dell’epoca. Solo che il volantinaggio lo abbiamo fatto indossando la divisa degli scout».
 

È intuibile che qualcuno non abbia gradito...
«Alla messa del sabato sera, che per noi era la più importante, il parroco, un domenicano, durante l’omelia sventolò quel volantino per chiarire ai presenti che con quella lista e con la nostra iniziativa, la parrocchia non aveva nulla a che fare. Era forse la mia prima iniziativa politica e non andò come mi ero immaginato».

Altri episodi che le vengono in mente?
«Più che un aneddoto è una curiosità. Potevamo giocare a qualsiasi cosa, ma non a calcio, sport del quale ero e sono un grande appassionato. Non ho mai capito perché fosse in vigore quel divieto».

Nel corso degli anni è rimasto in contatto con il mondo dello scoutismo?
«Con alcuni amici che erano lupetti con me siamo ancora in contatto oggi. Uno di questi è un mio cugino che è stato uno dei capi scout fino a qurant’anni. Anche mio fratello Romano, una volta a Milano, ha fatto lo scout. Per il resto ogni tanto, quando mi hanno invitato, sono andato a qualche raduno, ma se devo essere sincero mi pare che quel mondo sia un po’ cambiato rispetto a quando lo frequentavo io».

In meglio o in peggio?
«Direi che si è un po’ allontanato dal cattolicesimo e si è spostato un po’ più a sinistra. È stato, mi si passi il temine, un po’ colonizzato dall’area cattocomunista».

Si riferisce a Matteo Renzi e alla “beatificazione” dello scoutismo durante il periodo nel quale è stato presidente del Consiglio?
«No, lo slittamento a sinistra c’era stato già prima di Renzi, ma non è che la cosa mi dia fastidio. Io non ne facevo più parte, quindi...».

A fronte di questa analisi lei oggi consiglierebbe a un ragazzo o una ragazza di fare un’esperienza da scout?
«Per come l’ho vissuto io, certo che lo consiglierei, ma come dicevo prima non so attualmente come si sia trasformato quel mondo».

E come l’ha vissuta lei?
«Alla grande! Era un’esperienza che ti insegnava ad affrontare e superare le prime difficoltà della vita. Ad esempio ti insegnavano a seguire le tracce, ad orientarti. Poi ti lasciavano da solo e tu dovevi ritrovare la strada per riunirti coi gli altri scout al cambo base. Era un modo per insegnarti a renderti indipendente. Ecco, per questo è stata un’esperienza importante. Se fosse ancora così la consiglierei certamente. E poi c’era anche un’altra cosa che mi ha fatto amare quell’esperienza».

Di cosa si tratta?
«Il mio scoutismo era permeato non solo dai valori della chiesa e del cattolicesimo, ma anche dall’orgoglio nazionale, dal concetto che tu eri lì “per servire la Patria”. Sinceramente non so se adesso quell’idea di nazionalismo è interpretata ancora in quel modo...».

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