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Condannata l'eroina antimafia Pd: il tramonto di "Lady legalità"

Maria Grazia Laganà

Maria Grazia Laganà, parlamentare del Partito Democratico, condannata in primo grado: nei guai per le forniture ospedaliere. In imbarazzo tutto il partito

Andrea Tempestini
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  di Andrea Scaglia Condannata, sia pur in primo grado. Per truffa, falso e abuso. Due anni di carcere, pena sospesa. Certo la notizia è clamorosa, e non solo perché trattasi di parlamentare del Partito Democratico, dunque ennesima tegola giudiziaria per Bersani e compagnia. A essere giudicata colpevole dal Tribunale di Locri è stata infatti Maria Grazia Laganà. Vedova oggi 53enne di quel Francesco Fortugno che, all'epoca vicepresidente del Consiglio regionale calabrese in quota Margherita, venne assassinato il 16 ottobre 2005. Giusto l'altro giorno la Cassazione ha confermato in via definitiva gli ergastoli per un mandante - Giuseppe Marianò - e due esecutori. In qualche modo sconfessando la pista politico-mafiosa, e invece confermando la ricostruzione incardinata su una vicenda di rancori e gelosie professional-elettorali ambientata proprio all'ospedale di Locri - dove lavorava lo stesso Marianò e anche la moglie di Fortugno. Per anni Maria Grazia Laganà ha ripetuto che i veri mandanti andavano cercati più in alto. E dopo l'elezione al Parlamento nel 2006 - sponsorizzata da Walter Veltroni e ripescata dopo i solito complicato gioco di rinunce e recuperi - ha rappresentato un punto di riferimento per quanto riguarda le manifestazioni di sensibilizzazione contro lo strapotere della ‘ndrangheta in Calabria. Per questo la condanna della Laganà fa sensazione: perché ha sempre fatto della legalità un punto fermo del suo impegno politico. Peraltro, lei ha sempre ripetuto - anche nelle dichiarazioni spontanee in aula prima del verdetto - di essere innocente. Si è autosospesa dal partito, «per evitare qualsiasi speculazione politica». La vicenda che ha portato alla condanna della Laganà risale proprio a quando rivestiva il ruolo di vicedirettore sanitario dell'ospedale di Locri. Un'inchiesta cominciata dopo l'omicidio di Fortugno, in seguito allo scioglimento dell'Asl in questione e dopo la relazione compilata al commissario straordinario subentrato, il prefetto Paola Basitone, poi divenuta vice capo della Polizia. E comunque, le accuse si basano sulle dichiarazioni - che evidentemente la Corte ha ritenuto essere sufficientemente riscontrate - di un'ex dirigente dello stesso ospedale, Albina Micheletti - assolta nel processo. La quale ha raccontato d'essere stata convocata nell'estate del 2005 dalla Laganà. E questa, alla presenza dello stesso Fortugno, avrebbe caldeggiato l'approvazione di una fornitura per il pronto soccorso da parte della ditta Medinex di Reggio Calabria. Dunque mascherine, divise, set universali per pazienti, supporti per terapia infusionale, borse di ghiaccio e quant'altro. Il commissario in carica in quel periodo, Benito Stanti, riferì poi in tribunale che arrivarono effettivamente in ospedale tre forniture di materiale ospedaliero per un valore di poco inferiore a 800mila euro, e di essersi insospettito perché la fornitura pareva eccessiva - un magazziniere gli confermò che di articoli del genere già  ce n'erano a sufficienza, e comunque la Medinex si riprese parte del materiale, per circa 130mila euro.  In ogni caso, per falso e abuso sono stati condannati a un anno e quattro mesi anche un altro ex dirigente dell'Asl, Maurizio Marchese, e Pasquale Rappoccio,  che della Medinex era il titolare. Rappoccio venne poi arrestato nell'ottobre 2011 dall'Antimafia con l'accusa di intestazione fittizia di beni e connivenze con la cosca Condello, e anche coinvolto nelle inchieste sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia.  

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