Silvio Berlusconi e Mario Monti, un matrimonio forzato finito in rissa
Che fosse un matrimonio forzato lo si era capito sin dall'inizio. Troppe le differenze politiche e caratteriali, uno istrionico, carismatico, trascinatore delle folle, a suo agio nelle piazze e amante delle feste più o meno eleganti, l'altro algido, preparato, con un approccio professorale alla politica, a suo agio nei panel internazionali e nelle aule universitarie. La bandana e il loden. Era intuibile che la coppia prima o poi sarebbe scoppiata, a dire il vero è già un miracolo che sia resistita per più di un anno. A distanza di qualche anno la scelta del Pdl di appoggiare il governo Monti sembra un errore, ma la verità è che Silvio Berlusconi non aveva alternative. Con una crisi drammatica e il Paese ad un passo dal fallimento, l'Italia aveva bisogno di un governo sostenuto da un'ampia maggioranza e le elezioni anticipate erano un lusso che il Paese non poteva permettersi. D'altro canto il Cavaliere usciva con le ossa rotte da oltre un anno di immobilismo, con un'immagine logorata da inchieste giudiziarie e scandali sessuali, con la seria possibilità che a vincere le eventuali elezioni anticipate fosse il trio Bersani-Vendola-Di Pietro immortalato nella "foto di Vasto", benzina sul fuoco della crisi finanziaria. Berlusconi, da azionista di maggioranza, pensa di poter condizionare l'azione del governo Monti: «Il governo è composto da tecnici di elevata competenza, ma questo non significa che avranno carta bianca su tutto» dichiara nei giorni in cui si formava il governo dei professori. E ancora: «Se Monti prenderà misure in contrasto con la linea dei partiti che lo sostengono, come per noi la patrimoniale, non potrà andare avanti». Berlusconi è convinto che il governo di «grande coalizione» sia una risposta eccezionale ad una situazione di emergenza e che il bipolarismo sarebbe tornato presto al suo funzionamento fisiologico: «Monti mi ha detto che se il governo andrà avanti è logico che lui non approfitterà della situazione per candidarsi». Il Cavaliere pensa di poter controllare l'azione di Monti dall'interno piazzando nel governo un uomo di fiducia come Gianni Letta, ma il Pd si oppone e si capisce subito che l'influenza del Pdl sul governo sarà scarsa. Con un Cavaliere azzoppato dalle inchieste giudiziarie e un centrodestra in crisi di identità, il Pdl si ritrova a votare una miriade di tasse e provvedimenti che colpiscono la propria base elettorale. Il rapporto tra Monti e Berlusconi si deteriora sempre di più, il Professore sottolinea in ogni evento pubblico la sua diversità antropologica rispetto al predecessore, il Cavaliere non perde occasione per attaccare le tasse dei tecnici. Il divorzio arriva con le elezioni del 2013 e finisce con insulti ed accuse reciproche. Per Berlusconi Monti «ha seguito tutte le indicazioni della Merkel» e ha approvato misure di «estorsione fiscale tipiche di uno Stato di polizia tributaria». Per Monti le promesse elettorali di Berlusconi sono «un tentativo di corruzione con i soldi dei cittadini» che contiene anche «qualche elemento di usura». L'ennesima dimostrazione che quando i matrimoni non funzionano e le famiglie si sfasciano ci rimettono sempre i figli, in questo caso i cittadini italiani. di Luciano Capone