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Direzione Pd, partito spaccato su Jobs Act e articolo 18. Le minacce incrociate tra Matteo Renzi e minoranza

Giulio Bucchi
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Sindacati divisi, Pd di più. Articolo 18 e Jobs Act spaccano la sinistra e il principale partito della maggioranza. Dalla direzione democratica in programma dalle 17 a Roma, in via Sant'Andrea delle Fratte (cominciata quasi un'ora dopo) non usciranno sorprese negative per Matteo Renzi e il suo governo. Quelle, semmai, potrebbero arrivare in Senato, dove da domani si inizerà a discutere della riforma del lavoro. Ma la situazione è chiara: così come dopo tre ore di faccia a faccia Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl, segretario uscente) e Luigi Angeletti (Uil) non hanno trovato una risposta comune da dare all'esecutivo (per ora, di sicuro, c'è solo il no secco della Cgil al Jobs Act con manifestazione prevista per il 25 ottobre nella Capitale), anche nel Pd non pare esserci possibilità di dialogo. Non a caso, per evitare fratture insanabili, sarebbe andata in scena secondo fonti vicine al Nazareno una trattativa dell'ultim'ora con i giovani turchi, i più disposti alla mediazione. Ecco il perché dello slittamento della direzione più calda dell'era Renzi. Nel frattempo, in mattinata Renzi è salito al Quirinale per riferire al presidente Giorgio Napolitano della sua partecipazione e dell'andamento dell'Assemblea generale del'Onu. Il colloquio ha però riguardato anche gli sviluppi prossimi dell'attività parlamentare.  I punti di contrasto - La maggioranza renziana continua con la prova muscolare: via l'articolo 18 per i nuovi assunti e niente reintegro eccetto che per i casi di licenziamento discriminatorio (profilo giuridico complicato e su questo punto si tenta la mediazione con l'ala sinistra del partito), via i contratti temporanei (ne resterebbero solo quattro (determinato, a tutele crescenti, stagionale e apprendistato). La minoranza dem, vicina alle posizioni barricadere della Camusso, oggi pomeriggio voterà quasi sicuramente no al documento del governo, mentre non è chiaro se ne presenteranno a loro volta uno. La minaccia del voto anticipato - In ogni caso vincerà per ora la linea Renzi ma il timore tra i fedelissimi del premier resta l'inquietudine: un muro contro muro nel partito porterebbe inevitabilmente grossi guai al governo. E se il Jobs Act dovesse passare in Parlamento con i voti decisivi di Forza Italia, ha ricordato lo stesso Renzi a Repubblica, "si aprirebbe un problema politico". Ossia, il ritorno anticipato alle urne sarebbe ipotesi più che concreta. E forse gradita proprio a Renzi ma, paradosso, meno a chi gli sta facendo la guerra in questo momento, anche dietro la minaccia di scissione. di Claudio Brigliadori @piadinamilanese

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