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Matteo Renzi teme il partito-Landini: il dossier per il voto anticipato a maggio

Andrea Tempestini
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Del voto anticipato, qualche settimana fa, se n'era parlato con insistenza. Poi le voci parevano essere state archiviate. Ma dopo il voto alle Regionali di domenica, queste voci, hanno ripreso a circolare. E, forse, anche qualcosa in più. Già, perché secondo quanto rivela Dagospia, Matteo Renzi si sarebbe fatto preparare in fretta e furia un dossier. Il titolo? Semplice: "Election Day". Uno studio firmato dai tecnici di Palazzo Chigi che, a tempo record, hanno risposto alla richiesta del premier, interessato a capire se fosse davvero possibile votare in primavera. Risposta affermativa. Il piano passerebbe per un decreto che permetterebbe di andare alle urne a maggio per eleggere il nuovo Parlamento, sette consigli regionali e centinaia di sindaci in tutta Italia. Un election day, appunto: tutto in un weekend. Minaccia sinistra - E se l'ipotesi del voto anticipato era stata allontanata dalla crisi economica e dal calo di consensi con cui ha a che fare Renzi, il vento, come detto, sarebbe cambiato dopo il voto di domenica, un vero e proprio allarme rosso per il leader del Pd. A (stra)vincere, infatti, è stata l'astensione, e gran parte di questi astenuti, in un territorio tradizionalmente rosso, potrebbero essere stati mobilitati dalla Fiom e dalla Cgil, dunque da quell'ipotetico partito-Landini (dove si accaserebbero anche i dissidenti democrat in uscita) le cui proporzioni comincerebbero a turbare Renzi. Meglio dunque non dare alla sinistra-sinistra il tempo di organizzarsi, avrebbe pensato Matteo secondo quanto scrive Dago, e andare al voto il prima possibile, in primavera. Vizi di forma - Non tutto è così semplice. C'è per esempio un Silvio Berlusconi che non vuole andare alle urne: troppo debole, ora, la sua Forza Italia. Ma non solo: il Cav vorrebbe anche eleggere insieme al premier il prossimo inquilino del Colle, e poi dare il via libera all'Italicum. Ma per fare tutto ciò, va da sé, il Parlamento non deve essere sciolto. Poi c'è anche Giorgio Napolitano, che non ha intenzione alcuna di sciogliere le Camere, anche perché sarebbe una violazione "di fatto" del semestre bianco: Re Giorgio si dimetterebbe quasi sicuramente prima del termine dei sei mesi successivi all'ipotetico scioglimento. Ma Renzi, a quel voto anticipato, ora ci è tornato a pensare seriamente. Il premier avrebbe una scaletta da seguire: approvazione della legge elettorale al massimo a gennaio, la scelta del nuovo presidente della Repubblica entro febbraio e quindi il voto a maggio con la scusa di qualsiasi incidente parlamentare. L'impianto, però, è viziato da un problema: l'uomo da Pontassieve, sulla data delle dimissioni di Napolitano, non può decidere nulla.

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