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Massimo Mucchetti: "Matteo Renzi rischia di fare la fine di Berlusconi"

Lucia Esposito
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Se gli elettori stanno a casa perchè hanno poca fiducia nelle istituzioni, la migliore risposta non è sottrarre le istituzioni al volere degli elettori come fa la riforma del Senato proposta da Matteo Renzi. Così dice Massimo Mucchetti, senatore del Pd che presiede la commissione Industria del Senato. In questa intervista a  Libero spiega anche le sue riserve sul partito della Nazione e i timori sull'economia, con il rischio di una nuova tempesta sui mercati. In Emilia Romagna due cittadini su tre hanno scelto di non votare. Pensa anche lei come Matteo Renzi che sia un fatto secondario? «Alle europee ha votato il 68% degli aventi diritto, questa volta il 37%. Le regionali possono avere meno appeal, ma il 30% in meno in un colpo solo non è dato secondario. In questo le dichiarazioni del presidente del Consiglio peccano di superficialità». L'astensione è dovuta a ragioni locali? Alle inchieste giudiziarie? «Inchieste sui rimborsi elettorali, che sono avvenute più o meno in tutte le Regioni. Non credo possano avere avuto più peso di prima e di altri luoghi». Allora a non convincere più è il Pd di Matteo Renzi... «Il Pd o il Pdr, cioè il partito di Renzi? O il cosiddetto partito della Nazione, basato sulla rottamazione delle classi dirigenti precedenti? Se tanta gente non è andata a votare, significa che questa stessa gente, tra la quale tanti eroi del terremoto, non ha creduto alla proposta politica del Pd, alla sua promessa di una svolta...». Posso capire che il Partito della Nazione sia difficile da digerire per l'Emilia rossa «Beh, il Pci era il partito della Regione...Di partiti della Nazione in Italia ce ne sono stati già due. Uno era il Pnf, il Partito nazionale fascista, che negli anni '30 riscuoteva il consenso della stra-grande maggioranza degli italiani. La guerra di Etiopia ebbe l'appoggio del paese. Palmiro Togliatti, leader del Pci, scriveva la lettera ai “fratelli in camicia nera”...». Paragone che non sarà graditissimo oggi. «È storia, non polemica». E l'altro partito della Nazione? «La Dc di De Gasperi, ma anche quella di Fanfani e di Moro, parlava al paese e riscuoteva consensi, da sola e con gli alleati, tali da rappresentare la larga maggioranza del corpo elettorale». La Nazione che vota Renzi oggi si è parecchio ristretta. «Appunto. Se in Emilia prendi il 49% del 37% dei votanti significa che il sedicente partito della Nazione oggi ha meno del 20% del consenso del corpo elettorale. Non è il partito della Nazione: rischia di essere il Primo Partito della Casta». È sulla ripresa della fiducia che Renzi ha costruito la sua risposta politica «La classe politica nazarena sta reagendo a questa crisi di partecipazione con una riforma del Parlamento che abolisce il Senato elettivo e lo sostituisce con uno nominato dai consigli regionali su indicazione delle segreterie dei partiti. I consigli regionali, comprende? Poi propone una legge elettorale- l'Italicum- che al vincitore dà un robusto premio di maggioranza che andrà a vantaggio di liste in gran parte di nominati. Davanti a una caduta di partecipazione stiamo riducendo gli spazi di partecipazione effettiva per avere un governo maggioritario in una democrazia minoritaria». Vuole accantonare le riforme? «Se è vero che dobbiamo arrivare al 2018, non è così urgente oggi fare una legge elettorale con quelle drammatiche deficienze e fare scempio del Senato. Meglio abolirlo del tutto. Meglio cambiare nei limiti del possibile le regole bancarie in modo da fare più credito all'economia. O rilanciare gli investimenti facendo lavorare il governo. Non basta annunciare e decretare: bisogna seguire l'esecuzione, andare lì tutte le mattine con il cacciavite in mano come disse Enrico Letta». Troppi raccontano un Renzi pronto alle elezioni. Il Pd rischia la scissione, e il primo segno concreto si è visto sul job act. Avverranno l'una e l'altra cosa? «Non ho la tessera del Pd. Da osservatore non credo sia realistica la prospettiva di scissione». Però se votano in modo difforme, rischiano l'espulsione dal partito «Nella Dc non è mai stato espulso nessuno. Nel Pci per trovare espulsi bisogna andare indietro negli anni Cinquanta. No, non lo credo possibile». Se si corresse al voto subito, il Pd si spaccherebbe? «Temo di si, se si votasse con il proporzionale. È il solo contesto che potrebbe favorirla. Ma è poco probabile». Lei conosce bene i mercati. Anche loro votano all'improvviso. Renzi corre il rischio di finire come il Berlusconi del 2011? Sostituito in corsa da un Mario Draghi? «Non me lo auguro. Draghi è importante alla Bce dove sta facendo bene date le condizioni. Che i mercati possano mettere in crisi il governo Renzi come fecero con Berlusconi, può sempre accadere. Ma dipenderà da come i grandi investitori globali valuteranno l'Europa più che l'Italia. Il contesto peserà più del nostro testo». Quale contesto? «L'Europa non ha politiche di crescita. Il famoso piano dei 300 miliardi di investimenti di Junker non è la cosa che ci è stata raccontata. Dubitavamo si trattasse davvero di nuove risorse e ora i giornali confermano. Di nuovo c'è una sommetta di 21 miliardi, di cui 5 della Bei, ai quali si applica una leva finanziaria enorme. Tutto il resto è debito. Di che stiamo a parlare? Di 21 miliardi di capitale in tre anni divisi fra 28 paesi. Praticamente nulla. Perchè la leva la si sarebbe sempre potuta fare...». Piccole munizioni per scongiurare il ripetersi dell'estate 2011 «Il giorno in cui i mercati prendessero la decisione di ripetere il 2011 attaccando l'Euro, i paesi più deboli sarebbero i primi a subirlo. Fino ad ora è stata la Bce a scongiurarlo. Non vorrei che gli investitori globali pensassero che quello della Bce sia un bluff e provassero ad andare a vedere le carte. C'è nervosismo in giro. Se guarda le quotazioni sui mercati è chiaro che si è in attesa di qualcosa...». intervista di Franco Bechis   Guarda il video di Franco Bechis su LiberoTv

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