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Bechis e i numeri che lo dimostrano: Renzi zavorra d'Italia

Giulio Bucchi
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Questa volta a Matteo Renzi il tweet si è spento in gola, così come sono restate nel cassetto tutte le urla di tripudio della claque di cheerleaders che affollano in parlamento i banchi Pd. L'Istat ieri mattina ha diffuso i dati ufficiali sul Pil italiano nel terzo trimestre 2015, e se non è stata una doccia ghiacciata, poco ci manca. Contrariamente a quello che avevano previsto con eccesso di entusiasmo gran parte dei centri di ricerca economica nazionali e internazionali, il prodotto interno lordo dell'Italia cresce, ma al di sotto perfino delle previsioni ufficiali dell'esecutivo (molto al di sotto di quanto pensavano Confindustria, Ocse, Ue e altri). La variazione rispetto al trimestre precedente è dello 0,2%, un decimale di punto meno di quanto si pensava. Su base annua la crescita è dello 0,9%, ma a settembre il dato acquisito reale è + 0,6% ed è quindi probabilissimo che l'anno si chiuda al di sotto di una crescita dell'uno per cento. Invece di stappare champagne, Renzi ha fatto spallucce, ma si capisce anche dalla sua reazione che il colpo è stato incassato: «Speravo nello 0,3%», ha ammesso il premier, "ma è il terzo trimestre positivo e il dato di fatto è che nell'ultimo anno il pil è cresciuto dello 0,9%. Una striscia molto positiva, ma certo bisogna fare molto di più. Saremo felici quando il Pil sarà vicino al 2 per cento». Quello sul Pil in realtà è il meno negativo per l'esecutivo in carica, e racconta una verità semplice: le politiche del governo di questi due anni scarsi hanno avuto effetto zero sulla crescita italiana, che segue senza muovere un passo né in avanti né indietro il ciclo economico generale. Lo stop di ieri si accompagna infatti ad analogo stop registrato sia nell'area dell'euro che nell'Europa a 28. È un'occasione buona quindi per valutare che cosa è accaduto in Italia dall'inizio del 2014 a oggi, mettendolo a confronto con il ciclo economico generale e cioè con i dati medi sia dell'area dell'euro che della Europa a 28 registrati alla partenza del governo Renzi e oggi, dopo più di 20 mesi. Un confronto che Libero offre nella tabella qui in pagina e che è impietoso per il presidente del Consiglio e la sua squadra economica. Perché il verdetto di quel raffronto sui principali indicatori dell'economia dice che se sulla crescita le politiche dell'esecutivo hanno avuto effetto nullo (la distanza del Pil italiano da quello medio di area euro e Ue a 28 è restata immutata a 20 mesi di distanza), su tutti gli altri indicatori l'Italia ha avuto performance più basse del ciclo economico. Questo significa che le politiche del governo Renzi hanno peggiorato e non migliorato la situazione, perfino con il Jobs Act. Perché senza Jobs Act il resto d'Europa ha fatto mediamente meglio di noi. E l'Italia di Enrico Letta si trovava più vicina agli altri paesi del vecchio continente di quanto non avvenga oggi. Ma vediamo i dati analiticamente. Cominciamo proprio dal lavoro. È vero che il tasso di disoccupazione italiano è sceso in questi 20 mesi, ma quel che è avvenuto è merito del ciclo economico generale. Il problema è che è sceso ovunque, e in Italia meno che in altri paesi. Quando ha preso le redini del governo Renzi il tasso di disoccupazione italiano era peggiore della media dell'area dell'euro di 0,7 punti percentuali. Oggi la distanza si è allargata a un punto percentuale, quindi le misure del governo hanno inciso negativamente per 0,3 punti percentuali rispetto al ciclo economico. Peggio se si raffronta il dato con quello dei 28 paesi europei: in questo caso ci si è allontanato dalla media di 0,6 punti percentuali. Distanze ancora più marcate sulla disoccupazione giovanile: il divario sui paesi dell'euro è aumentato di 0,7 punti percentuali rispetto all'area euro e di due punti rispetto all'intera Europa. Purtroppo il governo Renzi ha avuto lo stesso effetto negativo anche su tutti gli altri dati macroeconomici italiani. In venti mesi si è allargato il divario Italia-area dell'euro sulla produzione industriale di 0,7 punti (0,6 punti di peggioramento rispetto alla media della Ue a 28). Il rapporto fra debito pubblico e Pil è peggiorato di 3,5 punti rispetto alla media dell'area euro e di 2,1 punti rispetto all'Europa intera. Quello fra deficit e Pil è peggiorato fra fine 2013 e il terzo trimestre 2015 di 0,1 punti rispetto all'area euro e di 0,9 punti percentuali rispetto all'Europa a 28. Tutti dati che danno ragione a uno degli slogan governativi. L'Italia ha bisogno davvero di #cambiareverso. Ma deve cambiarlo rispetto alle politiche adottate fin qui da Renzi. di Franco Bechis

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