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Pubblico impiego, stop agli aumenti. Ma non vale per i giudici

D'Alia gela gli statali: "Aumenti solo nel 2015". Toghe e prefetti sono però esclusi dal blocco

Giulio Bucchi
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Che differenza c'è tra un magistrato e un prof della scuola statale? Nessuna verrebbe da dire. Nel senso che entrambi svolgono una funzione di utilità pubblica e sono inseriti, come categoria si intende, nel mare magnum della Pa. Vero, ma solo in parte. Perché per gli insegnanti, che detto per inciso guadagnano in media molto di meno, dal 2010 è scattato il blocco degli aumenti contrattuali. Mentre per i giudici la crisi e la spending review non sono mai esistiti.  «Tutto merito - ci spiega il segretario confederale della Uil Antonio Foccillo - della riforma del 1993 che ha escluso alcune figure dalla contrattazione della Pa». Di chi stiamo parlando? «Dei magistrati, appunto, ma anche dei prefetti, dei professori universitari e degli addetti al consolato dalla segreteria in su». Che negli ultimi tre anni non hanno subito nessuna decurtazione in busta paga. A differenza di chi lavora nella sanità, negli enti locali, nella scuola, nell'università (ad eccezione ovviamente dei professori), nella ricerca, nello Stato e nel parastato. Insomma, sono tutti statali, ma qualcuno è più statale degli altri. «C'è una forte disparità - continua Foccillo -  tra chi è protetto dalla legge, pur guadagnando bene, e chi nonostante i bassi salari non ha potuto incrementare di un solo euro il proprio salario individuale». La vicenda torna di forte attualità nel giorno delle dichiarazioni del ministro della Funzione pubblica, Gianpiero D'Alia, che toglie qualsiasi speranza a chi puntava su uno sblocco dei contratti della Pa a partire dal 2014 (sono fermi dal 2010 come detto). Niente da fare. Se ne riparlerà tra due anni, forse, e solo se l'economia tornerà a correre.  Leggi l'articolo integrale di Tobia De Stefano su Libero in edicola oggi, mercoledì 29 maggio

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