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Caso Ruby, il Pd in coro: "Berlusconi faccia un passo indietro"

Bindi, Veltroni, Civati e Annunziata

I democratici chiedono a Silvio un "passo indietro". L'obiettivo? Far crollare le larghe intese ed evitare le urne grazie ai grillini. E l'Annunziata...

Andrea Tempestini
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La situazione è fluida, mutevole, esplosiva. Lo scontro con la magistratura raggiunge vertici mai conosciuti nell'ultimo ventennio, ma la linea di Silvio Berlusconi, pur tra qualche dubbio e una sensazione di debolezza, è chiara: tenere separato il piano politico da quello della giustizia. Tradotto, il governo Letta va avanti. Certo, il Pdl alzerà la voce, le trattative col Pd sui temi economici si inaspriranno. Ma la sostanza non cambia: l'esecutivo deve provare ad andare avanti. Una "notizia" che però non piace a molte anime democratiche. Troppo ghiotta l'occasione della sentenza su Ruby, fresca fresca, per non cercare di marcare la distanza tra "loro" e quel Berlusconi con cui si sono ritrovati a guidare il Paese. Ma poiché nemmeno il Pd può mollare il governo - chiarissime le parole pronunciate da Giorgio Napolitano qualche ora fa: "Abbiamo bisogno di continuità" - l'operazione architettata dal centrosinistra è più sottile: fare pressione sul Cavaliere affinché sia lui a fare un passo indietro. Un passo indietro che riguardi la sua persona e, a cascata, l'esecutivo Letta. Il Pd, tra le righe, chiede a Berlusconi di far cadere il governo. Il piano è chiaro: mischiare le carte, trovare una nuova maggioranza, magari con quella fronda di grillini transfughi sempre più vicino all'orbita di largo del Nazareno. Già, perché quando Napolitano insiste sul bisogno di "continuità", ad un primo livello di lettura chiede che le larghe intese proseguano; ad un secondo, invece, fa capire che alle elezioni, anche nel caso in cui la situazione precipitasse, non si torna. Moral suasion - Considerati i presupposti è scontata la presa di posizione di Pippo Civati, il democratico-grillino, il pontiere con i pentastellati, che da mesi briga per un ribaltone in nome del "governo del cambiamento" che ha costretto Bersani alla pensione. Civati attacca i compagni di partito, "rei" di non bastonare Berlusconi dopo il verdetto: "C'è stata una sentenza molto grave. Inviterei tutti i miei colleghi, se ancora sono di sinistra, a riflettere sulla gravità di quello che viene raccontato. Siamo noi che teniamo in vita Berlusconi con un'apparecchiatura sofisticatissima che si chiama governissimo delle larghe intese". Quantomeno, però, Civati si rivolge ai suoi. C'è poi chi invece -  e si tratta di pezzi da novanta del partito - si rivolge al Cavaliere. La rassegna parte con Valter Weltroni: "Berlusconi dovrebbe fare un passo indietro, al di là della sentenza". Peccato che l'invito arrivi subito dopo la sentenza. "Il Paese - aggiunge - ha bisogno di voltare pagina". Quindi si fa viva anche Rosy Bindi. Il concetto? Identico: "Berlusconi faccia un passo indietro, se ne stia in disparte". Un messaggio molto simile a quello espresso da Romano Prodi poche ore prima della sentenza, che in una lettera al Corriere della sera spiegava: "La mia partita è finita, ora lascino anche gli altri". E gli "altri" sono Silvio Berlusconi. Difficile comprendere quale sia la ratio dietro alla richiesta: perché Berlusconi dovrebbe "lasciare", "fare un passo indietro", insomma abbandonare la vita politica quando si è speso in prima persona per la formazione del governo delle larghe intese di cui è uno degli azionisti di maggioranza? La ratio, però, potrebbe essere questa: senza il Cav a tenere la barra dritta, lo scontro tra falchi e colombe azzurre deflagrerebbe, travolgendo Letta e la sua squadra, e spalancando le porte a un rimpasto (possibilmente radicale). Il coro - Contribuiscono poi all'opera di "moral suasion" anche i vari Enrico Rossi, presidente della Toscana, che chiede a Silvio "un atto di generosità: si ritiri dalla vita politica e permetta alla destra di riorganizzarsi". Quindi l'omologa in Friuli Venezia Giulia, Deborah Serracchiani, che introduce una variante: non si rivolge a Berlusconi, ma al Pdl. E chiede: "I dirigenti azzurri sono a un punto di svolta, chiamati a dare prova di responsabilità, anteponendo l'interesse e i bisogni delle famiglie e di tutti i cittadini a quelli del loro leader". La Serracchiani, insomma, chiede al Pdl di "deporre" il leader. Ci sarebbe poi anche Nichi Vendola, certo non del Partito democratico, ma pronto a sfruttare ogni spiraglio per rinvigorire la vecchia alleanza, senza la quale è destinato al confino politico: "Berlusconi farebbe bene a liberare il campo dalla sua presenza", intima il governatore pugliese. Tutti uniti, in coro, a chiedere un fantomatico passo indietro a Silvio. Lucia Annunziata - La rassegna di chi spinge il Cav a mollare si conclude poi con l'emblematico caso di Lucia Annunziata, direttrice dell'Huffington Post. Il sito, da che la sentenza è stata pronunciata, in barba agli orientamenti del Cavaliere scrive che il governo è appeso a un filo. Anche Lucia ha preso carta e penna per spiegare che "il governo delle larghe intese ha in effetti cominciato il corso verso la sua estinzione". La direttrice si chiede: "Può la politica non subire oggi l'impatto della giustizia?". Per l'Annunziata "il giudizio del Tribunale di Milano è la prova, per questi osservatori e cittadini, di una delle molte ragioni per cui Silvio è stato considerato unfit to lead, e costretto, alla fine, un anno e mezzo fa, a lasciare Palazzo Chigi". Ma oggi "quello stesso Silvio unit to lead governa con quel Partito democratico che per vent'anni lo ha attaccato". Secondo l'Annunziata la "condizione maturata in questi mesi recenti cambia tutto lo scenario della condanna". Come? Semplice: "Belusconi considera la sua condanna una ingiustizia. Questa sarà la sua posizione, e si muoverà di conseguenza: sul tavolo dell'alleato di governo Pd prima o poi arriverà la richiesta di condividere o meno questa opinione, o di mollare". Dunque, come detto, "il governo delle larghe intese ha iniziato il suo corso verso la estinzione", anche se Berlusconi non la pensa così. Quella dell'Annunziata non è una preghiera, ma una speranza che si maschera da certezza: il governo cadrà per colpa di Silvio. di Andrea Tempestini @antempestini

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