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Adesso il governo Lettaè appeso alla grazia del Colle

Re Giorgio visto da Benny

Napolitano promette di appoggiare la riforma della giustizia. Se il Cav non andrò allo scontro potrà arrivare il provvedimento di clemenza. Ma...

Andrea Tempestini
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Il destino del governo e della legislatura è nelle mani di due signori. Il primo è Silvio Berlusconi, che il verdetto della Cassazione ha reso un “carcerato virtuale”: confermata la condanna a quattro anni di carcere, solo tre dei quali coperti dall'indulto. Il Cavaliere guadagna solo un nuovo conteggio per la interdizione dai pubblici uffici, che non potrà essere di cinque anni, come previsto dal tribunale di Milano, ma sarà rideterminata e inferiore. Un contentino comunque troppo misero.  Il leader del Pdl, in altre parole, ha guadagnato solo un po' di tempo, che potrà impiegare per andare allo scontro finale con la sinistra e le toghe (e quindi anche con il Quirinale), oppure per seguire la «strada maestra» che subito gli ha indicato ieri un preoccupatissimo Capo dello Stato: «Rispetto verso la magistratura», dal quale potrebbero derivare (e qui entriamo nel territorio di ciò che il presidente della Repubblica non ha detto pubblicamente) vantaggi per il Cavaliere e il suo partito. I quali, a questo punto, si attendono la concessione della grazia presidenziale per il leader del centrodestra condannato con sentenza definitiva. Il provvedimento di clemenza, però, potrà essere concesso solo se Berlusconi e i suoi seguiranno le regole del galateo istituzionale emanate ieri sera da Giorgio Napolitano. E l'ex premier ha buoni motivi per non fidarsi più. La morale è che siamo a un passo dalla crisi di governo. Berlusconi ha in mano la carta bianca che gli hanno dato i parlamentari del Pdl. Ha il potere di staccare la spina in qualunque momento al governo Letta, e proprio di questo si è parlato ieri notte nel drammatico consiglio di guerra che si è tenuto subito dopo il giudizio della Cassazione. Sino a ieri si è visto il Berlusconi colomba, ispirato dalla linea dell'avvocato Franco Coppi. Una linea che non ha pagato. Adesso metà partito preme su di lui affinché si appelli alla piazza, faccia saltare il tavolo delle grandi intese e provochi il ricorso rapidissimo alle urne. Con una campagna elettorale - di fatto già iniziata con il videomessaggio di ieri sera - tutta giocata contro le toghe politicizzate che vogliono togliergli il diritto di rappresentare dieci milioni di italiani. Il Cavaliere è tentato anche di rispondere all'interdizione dai pubblici uffici facendo scendere in campo, come capofila del centrodestra e leader della nuova Forza Italia, la figlia Marina. Ipotesi che da ieri è diventata molto più concreta. Inutile aggiungere che la rottura delle grandi intese e della fragile tregua con magistratura e Colle è la scelta che più appaga l'istinto di Berlusconi. In direzione opposta spinge l'ala filogovernativa del Pdl, convinta che il rapporto con il presidente della Repubblica vada mantenuto saldo, ma anch'essa comunque destinata a seguire le decisioni del capo. È su un Cavaliere furibondo e tentato di staccare subito la spina al governo che è intervenuto in serata Napolitano, il quale ovviamente è il secondo personaggio dalle cui mosse dipende la sopravvivenza del governino. Oltre a invocare il rispetto per le toghe, il presidente della Repubblica ha avuto parole di elogio per l'atteggiamento responsabile tenuto da Berlusconi e dal Pdl nelle ultime settimane: «Attorno al processo in Cassazione per il caso Mediaset e all'attesa della sentenza, il clima è stato più rispettoso e disteso che in occasione di altri procedimenti in cui era coinvolto l'on. Berlusconi. Penso che ciò sia stato positivo per tutti», ha proseguito Napolitano, anche se probabilmente Berlusconi non la pensa allo stesso modo. Grazie alla prosecuzione di questo clima, avverte il Capo dello Stato, si potranno avere «condizioni più favorevoli per l'esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all'amministrazione della giustizia». Concetti alti, dietro ai quali però è facile leggere un'enorme preoccupazione per le sorti dell'esecutivo. A Enrico Letta non resta che sottoscrivere le parole di Napolitano e lanciare un appello disperato al Pdl affinché mantenga in vita il governo: «Per il bene del Paese è necessario ora che, anche nel legittimo dibattito interno alle forze politiche, il clima di serenità e l'approccio istituzionale facciano prevalere in tutti l'interesse dell'Italia rispetto agli interessi di parte». Atteggiamento «responsabile», cioè accettazione della condanna sancita ieri dalla Cassazione (esclusi i ricorsi in sede europea annunciati in nottata dai legali del Cavaliere), in cambio della benedizione quirinalizia alla riforma della giustizia e della prosecuzione di un governo nel quale il Pdl non si è mai riconosciuto: può bastare? Certo che no. Non è a queste condizioni che il Pdl è disposto a subire il martirio del proprio leader. Nella visione di molti esponenti del Pdl, e dello stesso Berlusconi, Napolitano si è mostrato incapace a garantire le condizioni necessarie a quella «pacificazione nazionale» che avrebbe dovuto essere il senso ultimo del governo Letta. Berlusconi quello che doveva fare l'ha fatto, il senso delle istituzioni che doveva dimostrare l'ha dimostrato. Adesso, ragionano i suoi, sta a Napolitano far vedere quanto ci tiene a creare un clima diverso nel Paese.  Concedendo la grazia a Berlusconi, è il ragionamento che faceva ieri notte chi usciva da palazzo Grazioli, chiuderebbe davvero la guerra dei vent'anni. Il Capo dello Stato ha già mandato segnali positivi in tal senso, anche negli ultimi giorni. Ed Enrico Letta, manco a dirlo, è favorevole. Ma rischia di essere tardi anche per questo: la situazione può degenerare prima che Napolitano riesca a intervenire. di Fausto Carioti

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