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Dell'Utri, i giudici: "Ci fu un patto tra la mafia e Berlusconi"

Marcello Dell'Utri

In 477 pagine i giudici d'Appello di Palermo spiegano come l'ex senatore avrebbe fatto da tramite con le cosche per garantire protezione a Silvio in cambio di denaro

Lucia Esposito
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Mancavano solo le motivazioni della Corte d'Appello di Palermo. Sono motivazioni che riguardano l'ex senatore Marcello Dell'Utri condannato in appello lo scorso 24 marzo  a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, ma coinvolgono anche Silvio Berlusconi. Secondo i giudici di secondo grado (presidente Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte) Marcello Dell'Utri è stato il "mediatore contrattuale" di un patto tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi, e in questo contesto tra il 1974 e il 1992 "non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti", e "ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento".  L'incontro sospetto - In 477 pagine il giudici scrivono: "è stato acclarato definitivamente che Dell'Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e (dal mafioso palermitano Gaetano Cinà a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell'Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l'assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi".   Quella riunione, secondo la Corte, "ha costituito la genesi del rapporto sinallagmatico che ha legato l'imprenditore Berluconi e Cosa nostra con la mediazione costante e attiva dell'imputato" Dell'Utri. "In virtù di tale patto - sostengono i magistrati palermitani- i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall'altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell'Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell'imprenditore mediante l'esborso di somme di denaro che quest'ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Marcello Dell'Utri che, mediando i termini dell'accordo, ha consentito che l'associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l'ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro".  Lo stalliere Mangano - Secondo i giudici dopo l'incontro nello studio di Dell'Utri, Berlusconi è rientrato sotto l'ombrello della protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all'obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione". Mangano divenne così lo stalliere di Arcore "non tanto per la nota passione per i cavalli" ma "per garantire un presidio mafioso nella villa dell'imprenditore milanese". Dell'Utri, ricordano i giudici, ha ammesso di aver indicato Mangano a Berlusconi come persona da assumere ma ha sostenuto di non essergli amico, anzi di averne paura. Ma la Corte non lo ritiene credibile. "La continuità della frequentazione, l'avere pranzato in diverse occasioni con lui, sono circostanze - recita la motivazione - che hanno consentito di escludere che i rapporti svoltisi in un arco temporale che ha coperto quasi un ventennio nel corso del quale il Mangano è stato arrestato e prosciolto e poi nuovamente arrestato e poi ancora prosciolto, possano essere stati determinati da paura". La Corte ha ricostruito nelle motivazioni anche i pagamenti sollecitati dai mafiosi a Berlusconi "quale prezzo per la protezione", e che secondo i giudici iniziarono subito dopo l'incontro del 1974, con la richiesta di 100 milioni di lire formulata da Cinà, ed esaudita.  La permanenza della condotta delittuosa e il riproporsi senza rilevanti mutamenti ... consentono di affermare con decisa convinzione che anche per il periodo successivo, oggetto del presente giudizio di rinvio, non si sono neppur intravisti indizi che potessero far insorgere il dubbio che Dell'Utri avesse assunto il nuovo ruolo di vittima e non più intermediario tra gli interessi di Berlusconi e di cosa nostra", si legge ancora nelle motivazioni, secondo cui  "Dell'Utri va ritenuto penalmente responsabile 'al di là di ogni ragionevole dubbiò della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992".  

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