Elezioni, perché il centrodestra può vincere: il voto nei seggi, la simulazione di Libero
Il 4 marzo, tanto per cambiare, gli italiani andranno a votare per le Politiche con una legge elettorale nuova di zecca. E ancora una volta il sistema è complicato, pressoché incomprensibile per i cittadini, e per di più incapace di garantire maggioranze di governo solide e di assicurare la vittoria a chi conquista più voti. Azzardare previsioni pertanto è più che rischioso. Fino a poche settimane fa, erano tutti certi che, essendo ormai il quadro politico tripolare (centrodestra, M5S, centrosinistra più i secessionisti di Grasso e D'Alema), nessuna coalizione avrebbe potuto prevalere e tutti erano altrettanto persuasi che si sarebbe andati incontro a una grande coalizione tra Pd, Forza Italia e chi ci sta ci sta, purché si arrivi al numero di 316 deputati e 158 senatori. L'inarrestabile declino del Pd nei sondaggi e l'incapacità di M5S di allargare il consenso facendo calare l'astensionismo, dato intorno al 50%, hanno però fatto sorgere nel centrodestra la speranza, che per alcuni sarebbe una certezza, di poter arrivare da solo alla maggioranza assoluta. Dall'altra parte si vagheggia di una avventurosa alleanza tra Pd, M5S e Liberi Uguali per racimolare i numeri necessari al governo. Se l'armata del centrodestra non sembra del tutto compatta, figurarsi quell'altra. Da escludersi, nei numeri e nelle intenzioni di Salvini, l'ipotetico governo M5S-Lega di cui pure si blatera nei corridoi. I CONTI DEL CAV Ciò detto, ci avventuriamo nella spiegazione di come funziona questo benedetto Rosatellum e del perché il centrodestra è persuaso di aver tirato una fregatura epocale a Renzi convincendolo a votarlo. Il sistema elettorale è per due terzi proporzionale e per un terzo uninominale, il che significa che la Camera assegna ai partiti 398 seggi, e il Senato ne assegna 199, in base alla percentuale di voti che ciascuna forza raccoglie, purché essa ottenga almeno il 3% dei consensi. I restanti scranni (232 a Montecitorio e 116 a Palazzo Madama) se li aggiudica il candidato della coalizione o della forza che ottiene più voti nel singolo collegio. Stanti così le cose, il centrodestra, formato da Forza Italia, Lega, Fdi e i centristi di Noi con l'Italia (più Parisi e Sgarbi, che ancora non si capisce come correranno), presenterà un solo candidato per collegio. Così faranno i Cinquestelle. Al solito, la sinistra è divisa e pertanto ne avrà due, in livorosa competizione tra loro, uno del Pd e l'altro di LeU. In base alle ultime rilevazioni, e confidando su una campagna elettorale che da abitudine vedrà Berlusconi crescere e i temi cari a Lega e Fdi (immigrazione, sicurezza e scetticismo nei confronti dell'Europa) essere centrali nel dibattito, il centrodestra unito conta di arrivare al 40%, risultato che gli garantirebbe 159 deputati e 80 senatori. A questo punto, per ottenere la maggioranza in Parlamento, per il centrodestra sarebbe necessario fare il pieno nei collegi uninominali. Per la precisione, i candidati della coalizione dovrebbero vincere almeno 157 collegi su 232 alla Camera e 78 su 116 al Senato. In pratica, se la coalizione arriva al 40% nel proporzionale, per raggiungere la maggioranza assoluta è costretta a conquistare circa il 70% dei seggi uninominali. Impresa ardua, ma straordinariamente agevolata dalla impossibilità per l'elettore di esercitare un voto disgiunto, ovverosia di mettere la croce su un candidato diverso da quello sostenuto dal partito che si vota. Poiché infatti le forze che si sfidano sono quattro (centrodestra, M5S, Pd, LeU), il calcolo di Berlusconi e soci è di riuscire, uniti, a prevalere quasi ovunque e che solo in poche decine di collegi Cinquestelle, o il Pd, siano in grado, correndo da soli, di ottenere più consensi di tutti i partiti della coalizione di centrodestra messi insieme e di aggudicarsi pertanto il seggio. Il calcolo si comprende meglio scendendo più nel dettaglio. Al Nord sono disponibili 90 seggi uninominali alla Camera e 46 al Senato. Ma dalla Liguria al Friuli, il Pd è allo sbando, può affermarsi solo in uno sparuto numero di enclavi, in Trentino-Alto Adige e Piemonte, mentre i grillini, a parte l'exploit della Appendino, in Settentrione hanno sempre fatto fatica. Morale, il centrodestra conta di fare il pieno o quasi con una settantina di seggi alla Camera e una quarantina al Senato. Quanto alle quattro regioni rosse, esse eleggono quaranta deputati e venti senatori. Anch'esse non sono, se non per rari casi, territorio di caccia dei grillini. Inoltre, proprio qui il Pd potrebbe pagare il conto più caro alla secessione di LeU, che in Emilia, Toscana e Umbria promette di sottrarre molti consensi ai renziani. Si aggiunga che, da Perugia ad Arezzo, il centrodestra alle scorse Amministrative ha conquistato molte roccaforti rosse e che i suoi sindaci stanno governando bene e hanno consolidato la vittoria, minando il potere dei Dem. Ne consegue che il centrodestra ritiene alla portata la vittoria in almeno metà dei collegi in gioco. E così, per arrivare alla maggioranza totale, resterebbero da vincere circa 60 collegi della Camera (su 101 contendibili) e 30 del Senato (su 49) dal Lazio in giù, isole comprese. LA SFIDA AL SUD E qui intervengono in soccorso la storia elettorale d'Italia e l'analisi del recente voto in Sicilia. Il Sud non vota mai per chi perde o è in odore di sconfitta. Quindi, Pd e LeU, tranne che in qualche collegio del Lazio e della Sardegna, rischiano di finire a mani vuote. La battaglia vera è con i Cinquestelle, i quali però lo scorso novembre in Sicilia, malgrado una campagna elettorale in cui per mesi si sono spesi girando l'isola i big del Movimento, Di Maio e Di Battista, e l'eccellente candidato Cancelleri, hanno avuto un risultato molto al di sotto delle aspettative, fermandosi 16 punti sotto la coalzione di centrodestra. A questo giro però, per Grillo i candidati buoni scarseggiano, come dimostra il fatto che Di Maio per raccattare qualche nome spendibile ha dovuto pescare fuori da M5S, e la campagna elettorale sul territorio sarà misera. Non si sa neppure quanto Grillo vi prenderà parte. È su questo che conta il centrodestra per cogliere l'obiettivo. Dopo di che, non gli resterà che erigere una statua in Transatlantico a Ettore Rosato, il deputato dem che ha dato il nome al sistema elettorale che distruggerà il suo partito, e che per rivedere il Parlamento sarà costretto ad affidarsi al listino proporzionale o a candidarsi a centinaia di chilometri dal proprio collegio elettorale, Trieste, dove non ha alcuna possibilità di vittoria. di Pietro Senaldi @PSenaldi