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Governo, islam e moschee nel contratto Lega-M5s: così Di Maio ha fregato Salvini

Gino Coala
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Il giro di vite promesso dalla Lega sulle moschee abusive e tutti i focolai di islamismo radicale è rinviato a chissà quando. Nella versione definitiva del contratto di governo è passata la linea morbidissima del Movimento Cinque Stelle, che nel proprio elettorato ha una quota importante di elettori di religione islamica, tendenzialmente contrari alle regole più rigide auspicate dai leghisti. Leggi anche: Farah, la ragazza scomparsa a Verona e costretta ad abortire: liberata dalla polizia Dal Carroccio speravano di procedere con la chiusura obbligatoria di tutte le moschee abusive, di istituire il registri degli imam, con obbligo di predicare in italiano, oltre che di poter tracciare tutti i finanziamenti diretti ad associazioni e luoghi di culto. Dopo tutte le mediazioni e le correzioni sul documento, il testo finale era tutt'altra cosa rispetto al programma leghista: via i referendum cittadini per poter decidere se ospitare o no un luogo di culto, via l'obbligo di prediche in italiano. Quel che è rimasto è la tracciabilità dei finanziamenti e il registro degli imam, una roba già avviata dai tempi di Angelino Alfano all'Interno e portata avanti da Marco Minniti. Nulla di fatto per la Lega, ma almeno i grillini hanno tenuto buoni gli elettori musulmani.

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