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Fini rosica ancora:il tradito sono io

Matteo Legnani
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Quale sia la posizione di Gianfranco Fini sul centrodestra e su Silvio Berlusconi si evince dalla quarta di copertina del suo nuovo libro Il Ventennio. Io, Berlusconi e la destra tradita, in uscita da Rizzoli nei prossimi giorni. Nella sua biografia si legge che è stato deputato dal 1983 al 2013, che ha fatto il vicepresidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e il presidente della Camera. Che è stato segretario del Msi, che ha fondato Alleanza Nazionale e Futuro e libertà. Il Pdl non compare nemmeno per sbaglio, come se non valesse la pena nominarlo. Come sempre, sono le assenze a fare notizia. Quando, nel 2010, Fini - credendo di trovarsi all'apice della gloria - pubblicò il saggio Il futuro della libertà, non citò nemmeno una volta il nome di Berlusconi. In quest'ultimo libro, invece, il Cavaliere è sostanzialmente il protagonista. Appare quasi in ogni pagina e, come prevedibile, non viene trattato con i guanti. Ma ce n'è anche per ex amici ed ex camerati, nemici vari e eventuali. Gianfranco ammette di aver fallito con Fli, e ovviamente sostiene di aver fatto bene a imbarcarsi in quell'avventura. Il suo libro, tuttavia, è una specie di dizionarietto del risentimento in cui ripercorre la storia della destra italiana dal '94 a oggi e cerca di dimostrare che, in fondo, aveva ragione lui. Ecco, in sintesi, alcuni dei contenuti del volume. Casa di Montecarlo - Se ne parla in un paio di pagine, in cui Fini riassume così la vicenda: un piccolo appartamento di Montecarlo, lasciato in eredità ad An, era stato venduto, anche perché fatiscente, a una società offshore ed era stato affittato dal signor Giancarlo Tulliani. Il quale viene citato solo una volta, senza dire che si trattava di suo cognato. Fini sostiene di esserne uscito senza macchia, nonostante i tentativi della stampa berlusconiana di infangarlo. Tutto qui.   Angelino Alfano - Fini cerca in qualche modo di solidarizzare con lui. Dice di essere positivamente colpito dalla presa di coscienza da parte dei, così li definisce, dirigenti più responsabili del Pdl sulla vicenda della fiducia a Letta. Scrive che, come da copione, i ribelli sono stati bollati come traditori e associati a lui. Gianfranco dice di apprezzare il comportamento di Alfano, Quagliariello, Cicchito, Lupi e altri poiché per la prima volta hanno anteposto l'interesse generale a quello del loro leader. Dice che contro di loro è stato utilizzato il metodo Boffo e che hanno potuto vedere in che modo l'intimidazione e la calunnia vengono spacciati per diritto di cronaca.  Alessandro Sallusti. Fini lo definisce il capobranco dei cani da guardia del Giornale, che abbaiano per ricondurre all'ovile i traditori. Poi lo descrive come un galantuomo che non è finito in carcere solo perché graziato da Napolitano. Vittorio Feltri - Il fondatore di Libero ed ex direttore del Giornale viene identificato come responsabile della campagna stampa contro di lui dal 2009 in poi. Fini sostiene che fosse in atto una pianificata strategia denigratoria, ovviamente per volere di Berlusconi. Del resto, spiega, il Giornale non è certamente un quotidiano indipendente né un giornale di partito, ma è il giornale di famiglia e i suoi attacchi sono in linea con l'idea proprietaria che Berlusconi ha del Pdl. Sono, dice,  purghe mediatiche. Maurizio Belpietro - In quanto direttore di Libero, secondo Fini è tra i maggiori responsabili della macchina del fango che ha agito contro di lui, assieme perfino al Tg1 spudorato di Augusto Minzolini. La macchina del fango lo avrebbe linciato, sottoposto al metodo Boffo e avrebbe violato la sua privacy.    Daniela Santanchè - Viene nominata solo una volta. Fini dice che, nel 2008, da candidato premier della Destra, attaccò Berlusconi per farsi notare, salvo poi cambiare idea. Le improvvise conversioni sulla via di Arcore, sostiene con ironia, sono eventi miracolosi, imperscrutabili e soprattutto sinceri e disinteressati.  Pier Ferdinando Casini - Fini dice di essere legato a lui da grande amicizia. E confessa di essere dispiaciuto per quel che accadde al momento di fondare il Pdl. Gianfranco si vide con Berlusconi e diede il suo via libera, senza informare Pier. Il quale, saputa la decisione, rimase senza parole. Dopo mesi di incomunicabilità e gelo, tuttavia, pare che il suo risentimento si sia attenuato. Fini dice che questa cosa lo fece sentire sollevato, perché sepeva di essere in torto verso di lui. Sensazione mai provata nei confronti di Berlusconi.  Maurizio Gasparri - Quando nel luglio 2010 Fini arrivò al redde rationem col partito e fu giudicato incompatibile dall'ufficio di presidenza (con un comunicato degno degli Apparatnik comunisti, dice), non si meravigliò affatto dell'atteggiamento di Gasparri (che, si capisce leggendo, gli voltò le spalle). Secondo lui, i rapporti erano già deteriorati al tempo del caso Eluana, quando Gasparri dimostrò zelo da teocon neofita. Ignazio La Russa - Gianfranco dice di essersi addolorato per come si comportò La Russa. Eravamo amici da trent'anni, racconta, e pensavo che fosse meno remissivo. Gianfranco dice di sapere che il colonnello del Pdl aveva posizioni molto diverse dalle sue, ma non si aspettava che si sarebbe piegato ai diktat berlusconiani.  Giorgia Meloni - Anche su di lei parole dure. Fini dice di averla nominata, appena entrata in Parlamento, vicepresidente della Camera. Ma, al momento del suo addio al Pdl, lei rimase in silenzio e si comportò come una giovane all'anagrafe con la prudenza e la tattica di un Matusalemme. Gianni Alemanno - Fini si dice dispiaciuto per il fatto che Alemanno non battè ciglio al momento del suo addio al Pdl, benché come sindaco di Roma potesse godere di una certa autonomia. Giorgio Napolitano - Fini lo definisce un presidente esemplare. Dice che si è davvero sacrificato accettando la rielezione e che attualmente è l'unico punto di riferimento per garantire credibilità alla Repubblica.  Silvio Berlusconi - Dal libro emerge come il vero traditore della destra italiana. Fini comincia parlando della fiducia conferita da Silvio - con farsesca disinvoltura -  al governo Letta, spiegando che egli agisce soltanto per tutelare a qualsiasi costo il suo personale interesse. Sostiene che il Cav non è finito. Anzi, ipotizza che accentuerà sempre più la polemica contro tutto e tutti accusando il governo Letta di ogni colpa. Sarà ogni giorno in campagna elettorale e la sua demagogia non avrà limiti. Si vedrà allora se Alfano dirà ancora di essere «diversamente berlusconiano». Lo definisce un uomo spregiudicato, oltre che pregiudicato. E sostiene che, se è stato condannato, è un po' anche grazie a lui. Ricorda un incontro avvenuto nel 2010, in cui il Cav gli chiese di convincere Giulia Bongiorno, allora presidente della Commissione giustizia alla Camera, a uniformarsi alle proposte del Pdl che, dice, avrebbero reso quasi impossibili le intercettazioni telefoniche. Se nella primavera 2010 avessi fatto quel che mi chiedeva Silvio - spiega Fini - quasi certamente il primo agosto 2013 non ci sarebbe stata nessuna sentenza della Cassazione e nessuna condanna definitiva. In sostanza, dice, il motivo per cui le loro strade si sono separate è la differenza di vedute sulla giustizia. Veramente, a noi risulta che si andata un po' diversamente, ma tant'è. 

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