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Federica Mogherini e le Pd all'Unione europea sputtanate: "Di cosa vi siete occupate per 5 anni"

Giulio Bucchi
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Si fa presto a dirsi diversamente europeisti, come fa adesso il Partito democratico stigmatizzando le risse a cielo aperto tra il nostro governo gialloverde e i mandarini di Bruxelles che ci danno di populisti e xenofobi. Si fa presto a piagnucolare sui canali di dialogo interrotti, sull' isolamento dell' Italia e sul nostro attuale peso (piuma) specifico nelle stanze del potere. Come se il Pd fosse innocente rispetto al dato di fatto, come se non avesse stravinto le ultime elezioni europee con risultati più che trionfali. Ricordate? Era il maggio 2014, il principato di Matteo Renzi muoveva i suoi primi brillanti passi e il suo partito asfaltò le illusioni cullate da Beppe Grillo e dai suoi sodali pentastellati: 40,8 contro 21,1. Con i Cinque stelle doppiati dai rivali, Grillo divenne il genio del Maalox ingollato davanti alle telecamere per ironizzare sulla batosta. La sinistra renziana occupò militarmente il Parlamento di Strasburgo, portandosi dietro la bellezza di 31 deputati per formare il primo gruppo dell' emiciclo. Fra polvere di stelle e petali di rose, il bullo di Firenze proclamò la nascita di una nuova Europa rifondata sulle necessità della grande proletaria tricolore: tanti investimenti fuori dal conteggio del deficit, equa distribuzione dei migranti che già sovraffollavano le nostre coste Sognare una svolta, allora, non era soltanto possibile ma doveroso. Invece l' Italia populista ha ricevuto in eredità un debito pubblico aumentato come la realtà virtuale dei talk televisivi, e carrettate di disperati sub sahariani abbandonati nelle nostre periferie e nelle stazioni metropolitane. Ombra triste - A distanza di nemmeno cinque anni, il ricordo di quella euforia malriposta si proietta come un' ombra triste sul bilancio fallimentare dell' èra renziana. Come è stato possibile? Domandatelo, fra gli altri, alle guardiane dell' ortodossia democratica prescelte dal segretario per puntellare il suo progetto. A cominciare dall' inconsistente Federica Mogherini. Con quei numeri usciti dalle urne, Renzi avrebbe potuto pretendere la Luna sui dossier economici dell' Europa, invece si accontentò di piazzare una sua muta stellina come Alto rappresentante dell' Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza (dal 1° novembre 2014). Nel frattempo, mentre a Roma prendeva forma la monumentalizzazione di Maria Elena Boschi, il solito Renzi piazzava al centro della scena europarlamentare Alessandra Moretti, Simona Bonafè, Pina Picierno, Alessia Maria Mosca. Quattro aspiranti regine di spade incaricate di dare un tocco rosa e battagliero all' alba della rivoluzione dem. Il loro lento e progressivo inabissarsi è l' indicatore più fedele di un naufragio collettivo da rivedere in time lapse. La corteggiatissima #AleMoretti prometteva di essere più brava che bella: incoronata come Lady preferenze (232 mila), è passata alla storia come una Ladylike molto social ma con zeru tituli. Parole sue: «Io, la Boschi e la Madia abbiamo uno stile Ladylike: dobbiamo e vogliamo essere belle, brave, intelligenti ed eleganti». Prima ancora di lasciare una traccia bella e brava e intelligente ed elegante a Strasburgo, Ale si è incomprensibilmente gettata via accettando di candidarsi nella primavera 2015 contro Luca Zaia per la guida della Regione Veneto. I suoi elettori l' avevano appena ricoperta di consensi per vederla svettare fuori dai confini, lei li ha ripagati dicendo che in fondo il Veneto era scalabile e concedendosi a interviste monstre pre-elettorali dal chiaro intento suicida: «Sono bravissima a cantare, come in mille altre cose ad esempio in cucina. Faccio degli spaghetti al pomodoro buonissimi, non è facile lo dice Cracco che è veneto come me. Il mio segreto? La passione». Risultato: asfaltata da Zaia, prigioniera in consiglio regionale, nostalgica dello «stipendione che ho lasciato e pure il vitalizio andato in fumo». Da numero uno in Europa a numero zero in Gallia. Simona Bonafè è sempre lì, sorridente e boschiva nelle brume di Strasburgo. Il suo più grande successo l' ha riassunto in un tuìt nel giugno scorso: «Il Parlamento europeo a larghissima maggioranza dice sì all' economia circolare. Finisce un lavoro di tre anni, ma sopratutto inizia per l' Europa una sfida. Fare dei rifiuti non più un costo per i cittadini, ma un valore per l' economia è possibile». In parole povere: recuperare materie rovistando nei cassonetti per reimmetterle nel circuito economico-produttivo. Il curriculum - È una sfida appassionante e carica di valori ambientalisti, oltreché di sicuri vantaggi economici, alla quale la brava Simona ha aggiunto la sua presenza nella Commissione speciale sulla procedura di autorizzazione dei pesticidi da parte dell' Unione; nonché una fitta agenda di comparsate televisive per concionare contro le invasioni barbariche sovraniste: memorabile, nell' ottica del nostro interesse nazionale, l' interpellanza scritta da Bonafè nel febbraio di quest' anno. Oggetto: "Lotta contro l' afrofobia". Svolgimento: «Il termine afrofobia è associato ad una tipologia di razzismo nei confronti di persone di discendenza africana con il colore di pelle nera. Il fenomeno è poco conosciuto ma molto diffuso e si manifesta nelle forme più odiose di discriminazione associate alla diffusione di stereotipi che collegano persone di discendenza africana ad una minaccia alla sicurezza, alla cultura e all' identità nazionale». Fine ultimo: «Nominare un coordinatore per l' afrofobia sulla riga dei coordinatori per l' antisemitismo e l' islamofobia». Africa first. Pina Picierno sembrava la più promettente della banda renziana ma è stata presto depositata come un oggetto smarrito alla vice presidenza della Delegazione alla commissione parlamentare mista Ue-Messico. Si è occupata anche di Bilanci e dei diritti della donna e dell' uguaglianza di genere ("prevenire e contrastare il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici e nella vita politica nell' Ue" è il titolo della sua unica relazione censita). Nel suo curriculum parlamentare figurano lodevoli (senza ironia) iniziative a favore delle donne saudite e contro i matrimoni minorili; settantanove proposte di risoluzione istituzionali su Cina, Turchia, Myanmar, Iraq e Siria; due dichiarazioni scritte: una sulla "relativa carenza di strutture di assistenza ai bambini a disposizione degli uomini nei bagni pubblici" (decaduta); l' altra "sui dilemmi etici in relazione all' innovazione tecnologica". Un talento disperso in mille rivoli. Spazzati via - Alessia Mosca non se la ricorda quasi nessuno ed è un' ingiustizia. Non foss' altro perché è autrice del manuale "L' Unione, in pratica" (Rizzoli, 2014). Esperta di dazi, tariffe e accordi commerciali, al suo attivo ha 439 interventi in seduta plenaria, 185 proposte di risoluzione istituzionali. Sei le sue proposte scritte: "occupa- bilità dei giovani nella regione euromediterranea; acqua potabile come diritto fondamentale; protezione del settore europeo dell' olio d' oliva e dell' olivicoltura; prevenzione e cura del glaucoma; prevenzione e cura del tumore della testa e del collo; ludopatia". E l' interesse economico nazionale? Non pervenuto. E la gestione dei flussi migratori? La riposta sta in un' interrogazione parlamentare del 30 agosto scorso contro la gestione del caso Diciotti da parte del nostro ministro dell' Interno, nella quale l' onorevole Mosca sollecita la Commissione europea sul diritto di accedere alla procedura di asilo e sulla presunta violazione della Convenzione europea dei diritti dell' uomo. Esattamente così hanno arato il suolo in cui non poteva che germogliare la pianta del sovranismo, questo grande vaffa tricolore dal dubbio gusto e dalla insindacabile genuinità. Ora si chiedono perché l' Italia strizza l' occhio a Orbàn, fremono d' indignazione davanti al machismo novecentesco di Salvini, si consolano con gli audio di Rocco Casalino. Nell' attesa di essere spazzati via anche da Strasburgo.

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