Laura Castelli, la grillina comunista che farà saltare il bilancio pubblico
In quel covo di viperette che sono i Cinque Stelle, Laura Castelli ha un primato: sta sulle scatole a tutti. Anche i pochi che ancora riuscivano a sopportarla sono scoppiati d'invidia l'altro giorno, vedendola nella foto dell'ultimo vertice di governo: lei, unica grillina con Luigi Di Maio, a fronteggiare i leghisti Salvini, Giorgetti e Garavaglia e i moschettieri mattarelliani Conte, Moavero e Tria. Il fatto che sia toccato a lei conferma che gli antichi romani avevano capito tutto: beati monoculi in terra caecorum. Televisioni e giornali adorano intervistarla: si aspettano la cavolata sesquipedale e lei non li delude mai. Su Rai Tre: «Se per tre mesi verrà osservato che lei, col reddito di cittadinanza, va all'Unieuro, magari un controllino della Guardia di Finanza si fa». Al Corriere della Sera: «Il reddito di cittadinanza è una misura di riconversione industriale». Va al convegno dei commercialisti a raccontare che lei ha esercitato la professione abusivamente, fa il gesto dell'ombrello al termine del discorso in aula alla Camera, pretende il referendum sull'euro e poi non sa cosa rispondere quando Lilli Gruber le chiede come voterebbe. Vorrebbe essere apprezzata per le competenze tecniche che ostenta e che non ha, ma sono sempre le sue gaffes a fare notizia. Leggi anche: Laura Castelli, occhio ai tatuaggi della grillina Ha capito però la cosa più importante: per rimediare un figurone tra i grillini basta avere un'infarinatura di nozioni e stare sul pezzo, o almeno dare l'impressione di farlo. «Vivo mangiando bilanci», ha risposto a quelli della base intenzionati a capire che personaggio fosse. Simile atteggiamento, unito a una laurea triennale in Economia aziendale, basta a fare di lei una sprovveduta di successo. Così questa trentunenne tatuata, cui la nascita a Torino non ha tolto l'accento siciliano appreso in famiglia, è oggi il numero due del ministero dell'Economia. Guida il team “mani di forbice”, che nell'universo parallelo di Giggino (quello in cui l'Italia cresce più degli altri Paesi europei grazie al reddito di cittadinanza) ridurrà la spesa pubblica quanto basta da coprire il costo dell'assegno di nullafacenza. Fosse per lei, la mannaia si abbatterebbe subito sul treno ad alta velocità. Prima di essere ogni altra cosa, la Castelli è stata una barricadera No Tav, di quelle che urlano slogan al megafono indossando una felpa sformata. Ha fatto da portaborse all'ecologista Mariano Turigliatto, capogruppo nel consiglio regionale piemontese della lista Insieme per Bresso, e ai Cinque Stelle è arrivata per naturale affinità, partendo da sinistra: comunismo e decrescita felice sono fratelli gemelli, anzi siamesi, uniti dal pauperismo e dal rifiuto della modernità. LA SCALATA Nel suo caso, però, i cantieri della Val di Susa erano solo la stazione di partenza: la ragazza capisce al volo che la creatura di Beppe Grillo può essere la svolta della vita. Così il 4 ottobre del 2009 è lì, al teatro Smeraldo, a Milano, per partecipare alla nascita del Movimento. Sale i gradini tre alla volta. Prima affianca come portaborse il medico Davide Bono, consigliere regionale. Le regole interne al M5S proibirebbero a chi fa parte dello staff degli eletti di candidarsi, ma per lei si trova un'eccezione. Viene messa in lista per le Politiche del 2013 e approda a Montecitorio, accompagnata dai primi livori dei compagni di setta. Roma la conquista e la cambia. Del potere le piacciono l'odore e l'estetica: felpe e giacconi militari lasciano posto a tailleur e foulard, i capelli prendono confidenza con il parrucchiere, spuntano occhiali griffati. Diventa l'interfaccia della sindaca Chiara Appendino con i palazzi della Capitale, si atteggia a volto istituzionale del grillismo, abbandona l'ala ortodossa e compañera di Roberto Fico per entrare nel giro degli arrampicatori che attornia Di Maio. Ciò non le impedisce di tornare a maneggiare il fango, quando serve. Come nel caso della foto di Piero Fassino che nel 2016 pubblica su Facebook, opportunamente tagliata, in cui si vede l'allora sindaco abbracciato a una militante del Pd. Il testo che l'accompagna è il condensato del modo in cui i Cinque Stelle intendono la lotta politica: «Che legami ci sono tra i due? Fassino dà un appalto per il bar del tribunale di Torino a un'azienda fallita tre volte, che si occupa di aree verdi, con un ribasso sospetto. La procura indaga. Fassino candida la barista nelle sue liste. Quanto meno inopportuno… che dite?». Zero prove, tante allusioni. Il risultato è che la procura indaga pure lei, per diffamazione, e il gip decide di mandarla a processo. DELUSIONE Ma per i Cinque Stelle queste sono medaglie. Piranha in una vasca di pesciolini rossi, la Castelli cresce tanto. Al punto da convincersi, la notte del 4 marzo, che il posto di ministro delle Infrastrutture le spetti di diritto. Anche perché, per il travaso di bile delle sue colleghe, lei è l'unica donna seduta al tavolo in cui si scrive il contratto di governo con la Lega. Quando capisce che le andrà male e che la poltrona finirà a Danilo Toninelli, se la prende con «i poteri forti» che avrebbero bloccato la sua nomina. Evocare il complotto davanti agli elettori del M5S funziona sempre, ma nemmeno stavolta risponde a verità. A fregarla sono stati il suo sgomitare frenetico e le invidie altrui. Qualcuno fa notare il 40% di assenze accumulate dalla Castelli nella XVII legislatura («deputati e senatori sono stati eletti dai cittadini per lavorare in parlamento», comanda il sacro blog, proponendo punizioni esemplari per chi marca visita). Soprattutto, si scopre che è lei una delle fonti ispiratrici del libro “Supernova”, in cui abbondano le rivelazioni sui segreti dei Cinque Stelle. Sono gli autori del volume, Nicola Biondo e Marco Canestrari, a svelarlo. In uno di quei giorni concitati nei quali si decide la formazione dell'esecutivo, scrivono a Repubblica: «Riteniamo giusto fornire le informazioni in nostro possesso utili a giudicare i comportamenti di un possibile ministro: comportamenti pubblici opposti a quelli privati per fini che, evidentemente, attenevano alla sua personale carriera». LA SVOLTA Insomma, è lei la «fonte parlamentare di alto livello» che attribuisce a Di Maio il progetto - perfettamente riuscito - di comandare il movimento condizionando Gianroberto Casaleggio. Lei che descrive come «lobotomizzati» i deputati che seguono il capetto irpino. Lei a raccontare che il gruppo dei Cinque Stelle è avvolto da un «brutto alone di omertà, che poco ha a che fare con l'Onestà» e a dipingere Di Maio come «il ricettore di tutti i gossip e malumori. Racconta una storia interna al Rampollo Di Maio e raggiungerai il paradiso per sempre entrando nelle sue grazie». Rivelazioni fatte nel 2015, quando la Castelli stava nel gruppo di Fico “il puro”, come lo chiama, ma che confermano quanto di male tanti grillini pensano della spregiudicata ragazzotta. Da allora, però, sono cambiate molte cose. Lei si è riposizionata nella cerchia giusta e ha saputo conquistarsi la fiducia del nuovo capo, al quale gli arrivisti piacciono, purché rimangano un paio di gradini sotto di lui. E qualcosa a chi chiede di punirla va concessa. Finisce che la Castelli ingoia il bicchiere di olio di ricino e incassa il ruolo di sottosegretario all'Economia, pur ritenendolo inadeguato per una con le sue capacità. Diventa la prima paladina di Di Maio e apre bocca solo per difendere lui e le sue proposte. È obbediente e mansueta perinde ac cadaver, come i gesuiti col papa. Conteggiarla tra i «lobotomizzati», però, sarebbe un errore: Laura fa ridere quando si confronta con il mondo esterno, ma nell'ecosistema in cui vive ha quanto le basta per mangiarsi quasi tutti e per farsi amici quelli che restano. di Fausto Carioti