Giovanni Tria, il ministro spaventapasseri che vale zero: potrebbe sostituirlo un Danilo Toninelli qualunque
A parziale discolpa di Luigi Di Maio, va detto che il vero danno ambulante con la targa da ministro non è lui. Centoventi giorni di governo hanno assegnato il ruolo di peggiore a Giovanni Tria. Doveva essere l'uomo che avrebbe rassicurato i mercati, il volto competente e responsabile dell'armata Brancaleone gialloverde, il protettore dei risparmi delle vedove e degli orfani. Si è rivelato il vuoto in grisaglia, usato dai politici e bistrattato dai suoi colleghi tecnici. Unici a dare importanza alle sue parole sono rimasti gli speculatori: ogni volta che Tria apre bocca per dire che i tassi dei nostri titoli di Stato «sono ingiustificati», lo spread sale di altri dieci punti. IL DEBUTTO Qualcosa non tornava già all'inizio, quando nacque il governo e questo professore, sino ad allora noto tra gli addetti ai lavori più per essere un personaggio accomodante che per le proprie pubblicazioni, fu presentato agli italiani come «economista in quota Mattarella». Spacciarsi per protetto del Quirinale gli faceva gioco, ma la verità è che lui e il capo dello Stato non si erano mai visti prima. Tutto ciò che Mattarella sapeva di Tria è che non era Paolo Savona e che non aveva proferito grosse sciocchezze in pubblico: dopo essersi opposto alla nomina dell'altro, di più non poteva pretendere. La favola del baluardo disposto a difendere i conti pubblici e pronto a dimettersi pur di non diventare complice degli indebitatori è stata comunque breve. Avallando un aumento della spesa pari a 41 miliardi di euro solo nel 2019, Tria ha condannato se stesso e gli italiani. Leggi anche: Senaldi: Tria, il ministro strattonato che si fa spaventare pure da Brunetta Ha sceso tre gradini ed è tornato a fare ciò che faceva prima: il consulente economico del "cane alfa" di turno. Perse autorità e autorevolezza, oggi Tria è quello che si affanna per difendere l'indifendibile, per infiocchettare con dotte argomentazioni economiche le smanie spenderecce di Di Maio. Illustrando i conti del governo ai deputati, in un eccesso di zelo è riuscito a dire che il reddito di cittadinanza è necessario «per evitare l'insorgere di sentimenti contrari all'Europa». Dovremmo indebitarci per rendere la Ue meno sgradita agli elettori, insomma: neppure i grillini, nei loro deliri da analfabeti dell'economia, erano arrivati a tanto. Il nulla che vale Tria lo si è potuto toccare con mano ieri. Prima è stato strapazzato da Renato Brunetta, suo ex mentore forzista, quindi è stato messo a tacere dal leghista Claudio Borghi, che gli ha spento il microfono: sgarbo che nessuno avrebbe fatto a un Tremonti o a un Ciampi o a un Carli; con Tria, però, si può. Quindi sono sfilate le delegazioni della Banca d'Italia e della Corte dei Conti: tecnici che dovrebbero parlare la stessa lingua del ministro e invece hanno fatto a pezzi tutti i suoi calcoli e ragionamenti, iniziando dalle previsioni di crescita economica. Con la massima durezza consentita dal linguaggio degli economisti, hanno detto che non si può far ripartire un Paese regalando miliardi di euro a chi non fa nulla. La botta finale è arrivata all'ora di cena, ma era scontata da ore: l'Ufficio parlamentare di bilancio ha bocciato la manovra e tutti i numeri scritti da Tria, giudicando «eccessivamente ottimistica» la ripresa del Pil presunta dal ministro per fare apparire sostenibili le spese volute di Di Maio. Tra un pesce in faccia e un microfono silenziato, Tria era riuscito a fare pure un regalino agli speculatori: aveva detto che se la differenza di rendimento tra i Btp e i Bund tedeschi arriverà a 500, il governo cambierà politica economica. Così i Soros di tutto il mondo ora sanno fin dove arriva la determinazione di chi difende le nostre finanze e cosa devono fare per mettere l'Italia in ginocchio. SENZA SENSO Non regge nemmeno la spiegazione secondo cui la presenza di Tria alla scrivania di Quintino Sella è richiesta dai mercati, pronti a randellarci se lui abbandona. I titoli delle banche infatti continuano ad affondare e i rendimenti dei titoli di Stato ogni giorno toccano un nuovo massimo. Succede anche perché un professore universitario che sta lì per reggere il vassoio e annuire al capo non ha ragion d'essere: tanto varrebbe restituirlo all'accademia e mettere al suo posto un Danilo Toninelli o una Laura Castelli qualunque. Con gli investitori difficilmente potrebbe andare peggio di così e si leverebbe l'ultimo alibi a chi vuole usare i soldi pubblici per comprarsi il voto degli italiani. di Fausto Carioti