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Decreto sicurezza, cosa rischiano i sindaci che si ribellano a Salvini: quanti soldi perdono

Gino Coala
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Lo scontro tra i sindaci ribelli al decreto Sicurezza e Matteo Salvini passerà rapidamente dal piano politico e dell'immigrazione a quello economico, con il Viminale intenzionato a rivedere gli stanziamenti dei fondi per i comuni per esempio per l'assunzione di nuovi agenti di polizia municipale. Per quanto il ministro dell'Interno ha ironizzato sul fatto che non invierà la polizia per costringere i sindaci ad applicare la legge, il braccio di ferro rischia di ritorcersi contro gli stessi sindaci, che potrebbero ritrovarsi ad aumentare le imposte locali pur di compensare il taglio minacciato dal governo. Leggi anche: Decreto sicurezza, il sindaco grillino di Pomezia contro Salvini: "Non si possono negare i diritti" Cosa dice il decreto sicurezza La principale contestazione dei primi cittadini partita da Palermo con Leoluca Orlando riguarda l'articolo 13 del decreto, nel quale è stabilito che "il permesso di soggiorno non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica", che escluderebbe quindi gli stranieri da tutta una serie di servizi erogati dai comuni. Decreto sicurezza, il possibile taglio dei fondi per i Comuni La sfida di Salvini sui fondi ha valore per lo più simbolico, visto che il ministro non ha potere diretto per tagliare i fondi previsti tanto dal decreto quanto dalla manovra economica. Il ministro leghista però punta a costringere i sindaci a rinunciare ai soldi concessi dallo Stato. Palermo per esempio dovrebbe rinunciare a quasi 3 milioni di euro, come riporta il Corriere della sera: 168.750 euro per "scuole sicure", mentre il Fondo sicurezza urbana stanzia 122.848 euro per il 2018, 1.256.400 euro per il 2019 e 837.600 euro per il 2020, ai quali si aggiungono 596.275 euro come contributo statale per la videosorveglianza. Ben più pesante sarebbe la rinuncia di Luigi de Magistris per Napoli, dove sono stati stanziati oltre 7 milioni di euro.

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