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Giorgio Napolitano, la verità di Bersani su Re Giorgio: "Cosa accettò per far scordare il passato comunista"

Gino Coala
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Il mea culpa di Jean-Claude Juncker dopo anni di politiche di austerity, anche contro l'Italia, sono suonate alle orecchie di Pierluigi Bersani, e chissà di Silvio Berlusconi, come l'ultima e più vergognosa beffa arrivata da Bruxelles negli ultimi anni. Il ricordo di quei giorni drammatici del 2011, quando fu abbattuto il governo Berlusconi sotto i colpi dello spread, è ancora fortissimo. Lo è anche nella memoria dell'ex segretario del Pd, che tra i corridoi del Parlamento si è tolto più di un sassolino dalla scarpa, soprattutto su certi protagonisti dei fatti dell'epoca come il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Leggi anche: Battisti, la confessione drammatica di Napolitano: il fallimento di Re Giorgio, a chi dà la colpa In un retroscena di Augusto Minzolini sul Giornale, Bersani ricorda benissimo le pressioni che ha dovuto subire, ma stavolta ribadisce anche i motivi che si celavano dietro quella strana insistenza del Quirinale: "Ricordo ancora la direzione in cui posi i dirigenti del partito di fronte all'opzione governo Monti o elezioni. Mi trovai di fronte un fuoco di sbarramento di sei interventi di esponenti di primo piano che consideravano Monti una scelta obbligata. Poi c'era Napolitano... Da quel momento, tutte le settimane, per un anno, sono stato sottoposto a un esame di 'montismo'. E anche se avevo qualche dubbio sull'efficacia della politica del loden, dovevo accettare l'impostazione di chi, per far dimenticare il proprio passato comunista, pensa sempre che abbiano ragione gli altri. La verità è che in molti si ubriacarono di retorica europeista. Trasformarono un'idea buona, l'Europa unita, in un'ideologia...".

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