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Luigi Di Maio umiliato in pubblico tre volte: la fine atroce di un leader da ridere

Davide Locano
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Ieri mattina Luigino Di Maio ha assaggiato i fischi del Nord, a Vicenza. Ne aveva fatto collezione in questi giorni a Ortona e Pomigliano d' Arco. I tg fingono di non accorgersene. D'accordo. Non è mica una crisi di governo. Non sono masse, ma piccole folle. Inoltre: 1) finché ci sono i fischi, c' è democrazia; 2) I fischi non votano. Eccetera. Si possono trovare parecchi argomenti consolatori per attenuare il peso di questa forma sonora di dissenso popolare. Persino sostenere che gli autori dei sibili appartengono a una infima masnada di prezzolati, minimizzando, diluendo. Esibirsi nell'arte dei tontoloni del resto ai grillini viene benissimo. C' è un limite però alla finzione. E qualche ideuzza al riguardo, sotto la maschera sgargiante, dovrebbe ronzare anche nella testa di Luigino Di Maio, peraltro non ricchissima di pensieri. La nostra spiegazione è elementare e prende le mosse dal modo di dire numero 3, che al caso che qui stiamo trattando sta a pennello: prendere fischi per fiaschi. È perfetto. Dai che lo sa anche Salvini e lo sa anche lui: Di Maio ha preso fischi per i fiaschi che ha rifilato alla gente del sud, del centro e del nord. La parola fischi l' abbiamo ripetuta troppe volte in poche righe, e non va bene, ma la novità è forte. Ma ha un che di evangelico contrappasso: chi di vaffa ferisce, poi non si lamenti se glielo infilano nelle orecchie e in ogni pertugio. È solo un inizio, un assaggio, certo: non stiamo qui a gonfiare la tempesta. Se però le cose procedono come negli ultimi mesi, con i no a tutto, no Vax, no Tav, no Triv, no condoni, no Flat tax, no anche al buon senso, invece di bagnarsi solo i piedi nell' acidità popolare, Di Maio ci annegherà con i suoi Toninelli & C. E sarà bene che Salvini prenda le misure, prima che questi spurghi di incazzatura schizzino lui pure. Non parliamo qui degli insulti di avversari secolari, ma di quelli che avevano ancora in gola il sapore degli osanna dopo che a giugno è partito il governo del cambiamento e ora quella stessa gola alita nervosismo. Leggi anche: "Come lo facciamo fuori": la ministra francese minaccia Di Maio LA LEGGE DI AGATHA Non parliamo per illazioni. Il vicepremier campano questa settimana è stato immerso in una salamoia di improperi in tutti i dialetti della Penisola, prima in Abruzzo, indi in Campania, infine al nord, nel Veneto. Tre volte in pochi giorni. E se due indizi non bastano, quando si arriva a tre vale la legge di Agatha Christie: c' è la prova. Di Maio sta sulle palle a un sacco di gente. Il governo resta popolare, ma il giallo dei 5 Stelle somiglia ormai per gli italiani al colore dell' itterizia. Ortona, provincia di Chieti, Abruzzo. Lunedì. Aveva al fianco l' eroe dei due o tre mondi Di Battista, niente da fare: gli hanno bucato le orecchie le urla di maledizione di caschi rossi e gialli: sono i lavoratori del gas italiano, che gli rimproverano di aver chiuso il mare alle trivelle e perciò al loro futuro. Un tweet con le immagini viene recapitato sui social: «Ecco l' accoglienza dei cittadini di Ortona nei confronti di chi, come #Dimaio e #DiBattista, non ha mai lavorato, promette l' impossibile e poi, alla prova dei fatti, fa perdere posti di #lavoro e manda in recessione il #Paese». Il filmato conferma. Qui avevano preso il 40 per cento il 4 marzo. Ora 40, 400, 4000 pernacchi. Ha persino commentato: «Queste proteste sono la prova che abbiamo davvero realizzato la promessa di bloccare le trivellazioni». Questi qua se lo sentivano gli tiravano il collo. Pomigliano d' Arco, Napoli. Martedì. Giggino è ospite del suo vecchio liceo. Deve parlare su "merito e innovazione". Gli studenti si sono ribellati. Ma come: a te è andata bene, e adesso a noi tocca meritarci il diploma, studiare, ma vaffa... eccetera. Qui la facciamo spiccia, e capiamo l' irritazione dei liceali locali a cui tocca prendere il diploma in un istituto screditato, e che sono stati costretti a censurare ogni forma di protesta dal preside, il quale ha promesso una nota sul registro agli alunni poco ossequenti al ministro e ha salutato il vecchio allievo con queste parole che sono come un baciamano al re fannullone: «Grazie al bravissimo ministro Di Maio che risolve tutti i problemi e che certamente risolverà anche i problemi della scuola». Testuale. Infine Vicenza, ieri. C'era il raduno al Palasport dei risparmiatori truffati dalla Popolare veneta: piccola borghesia, operai, pensionati gettati sul lastrico per la loro fiducia nei signori locali della grana e della politica. Le tribune erano colme, fuori la gente premeva inutilmente per entrare, e lui a differenza di Salvini e Zaia che sono passati dal retro, ha cercato il bagno di folla dato che veniva a promettere risarcimenti. Invece di baci e abbracci si è imbattuto in una serie di contumelie e in un cordone di fischi: «Vergogna, buffone, vai a lavorare». In quel momento, alle 10 e 20 del mattino del mattino, è stato trattato malissimo. Poi nel Palasport è stato bravissimo il senatore Gian Luigi Paragone, che da queste parti considerano ancora un leghista, a spostare la platea dalla sua parte. E al fianco c' era poi Matteo Salvini che si è preso un' ovazione, e ne ha spartita una fetta con il collega vicepremier. ANTIPATIA A PELLE Resta però il fatto che alla sua vista, scorgendo il suo permanente sorriso, la gente lo ha fischiato. Tutto faceva presagire l' applauso dato che veniva ad annunciare il prossimo decreto per il risarcimento proprio a loro. Perché? La ripetizione di un trattamento protestatario costringe a una sintesi politica. Questo tour d' Italie ha fatto sperimentare a Di Maio la brutale evidenza di una impopolarità di pelle, quella che sorge al vedere davanti il colpevole dei propri guai, complice dell' infelicità, delle truffe, perfino del maltempo. Sono faccende che ha sperimentato nell' ultimo decennio già Berlusconi, poi è toccato a Monti, quindi a Renzi. Ora questa nuvola nera che scarica fulmini irosi sta sopra la testa di Giggino. I precedenti sappiamo come sono finiti. Tutto questo dovrebbe far riflettere. Non i grillini, perché è impossibile, ma Salvini senz' altro. di Renato Farina

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