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Luigi Di Maio, l'ombra di Massimo D'Alema: il giorno in cui può fare una fine atroce

Maria Pezzi
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Un' ombra, in questi giorni, insegue Luigi Di Maio: è quella di Massimo D'Alema. Nel 2000 il presidente dei Ds si dimise dalla guida del governo dopo la batosta ricevuta dal centrosinistra alle elezioni regionali. Era un voto amministrativo, D' Alema non era tenuto a lasciare, però la sua posizione nel partito era già debole e la sconfitta in Liguria, Lazio, Abruzzo e Calabria gli risultò fatale. In una situazione simile si trova oggi il vicepremier grillino, che dopo essere andato al governo ha perso in Molise, Friuli-Venezia Giulia, Valle d' Aosta, Trentino-Alto Adige e Abruzzo e domenica rischia di fare la fine del porceddu: arrostito in Sardegna. A questo punto, infatti, nulla è scontato. Nemmeno che l' esecutivo sopravviva sino alle elezioni europee. Il fattore d' instabilità non è Matteo Salvini: finché l' alleanza con i grillini va avanti, lui guadagna voti e loro ne perdono e certo non gli conviene spezzare l' incantesimo. Fosse per il leader della Lega, le cose proseguirebbero senza scossoni sino al 26 maggio. Ciò che può far crollare tutto prima di allora è lo strappo interno al movimento: per Roberto Fico e la fazione "ortodossa", la decisione di non consegnare il ministro dell' Interno ai giudici ha segnato un punto di non ritorno, l' ultimo «tradimento» possibile. Da adesso in poi, nulla dovrà essere perdonato a Di Maio. Leggi anche: Luigi Di Maio, il retroscena: il vicepremier in difficoltà Il  confronto A marzo la lista pentastellata era stata la più votata in Sardegna: il 42,5% dei suffragi, una vendemmia. Il centrodestra, prima coalizione, arrancava undici punti dietro. In un anno è cambiato tutto e oggi nessuno, nemmeno tra i Cinque Stelle, si aspetta la replica di un risultato del genere. Un esito migliore di quello che si è visto nelle elezioni regionali dell' ultimo anno, con il M5S regolarmente terzo e umiliato pure dal centrosinistra, quello però sì. E non è affatto detto che ci sarà. Sinora Francesco Desogus, l' uomo che il movimento propone come governatore della Sardegna, non è apparso un fulmine di guerra. Meglio di lui hanno impressionato Christian Solinas, segretario del Partito sardo d' Azione e alfiere del centrodestra, e Massimo Zedda, portabandiera del Pd, di Liberi e Uguali e di altre sigle di sinistra. Salvini si sente un' altra vittoria in tasca e assicura che «il centrodestra governerà la Sardegna da lunedì prossimo». Per salvare se stesso, però, Di Maio deve scongiurare il tracollo di Desogus. Così domani sera, a sorpresa, sarà a Cagliari e metterà la propria faccia sulla chiusura della campagna elettorale. Non sapremo mai se la sua presenza gioverà o meno al candidato, ma, con Beppe Grillo messo ai margini, altre cartucce la propaganda dei Cinque Stelle non ne ha. Altra disfatta? Una nuova disfatta aprirà un processo sulla pubblica piazza, dall' esito imprevedibile. Gli uomini del presidente della Camera sembrano non aspettare altro. Uno dei più battaglieri, il deputato Luigi Gallo, accusa il vicepremier di avere messo il M5S «sotto il ricatto della Lega». E di certo non sarà Grillo a difendere Di Maio: «Con lui», dice il fondatore, «bisogna avere un po' di pazienza. Ha 32 anni, ministeri impegnativi...». Se non è una bocciatura, le assomiglia parecchio. In periferia già si avvertono le prime scosse. Le aree più calde sono quelle di Napoli, dove gli eletti legati a Fico sono in subbuglio, e di Torino. Sotto la Mole si sta cercando di evitare che due consigliere comunali mollino il gruppo, facendo da esempio per altri. Il loro problema non è con Chiara Appendino, ma con Di Maio e il modo in cui ha snaturato il movimento. Sul web, i tamburi della base rullano. Ieri, in calce al post sulle elezioni sarde, i militanti hanno scritto cose come: «Avanti così e l' estinzione arriverà presto!». Sbagliano: prima ci saranno il taglio delle teste dell' attuale classe dirigente e l' insediamento di un nuovo capo. di Fausto Carioti

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