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Giuseppe Conte, la vergogna forcaiola su Armando Siri: "Perché lo ho fatto fuori"

Gino Coala
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E pensare che un tempo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte insegnava diritto, era un avvocato, un uomo di legge. Oggi il premier si ritrova a ritirare le deleghe al sottosegretario leghista Armando Siri, colpevole solo di essere indagato per corruzione, dopo un'intercettazione tra terzi che parlano di lui e di una presunta tangente, ancora tutta da trovare. Leggi anche: Siri, Conte ritira le deleghe: il piano per la vendetta di Salvini La preoccupazione dell'avvocato del popolo (grillino) Conte non sembra essere mai stata la tutela dello Stato di diritto, la difesa della presunzione di innocenza fino a sentenza passata in giudicato, come sanno anche le matricole di giurisprudenza. Come ha confessato lo stesso Conte dopo aver fatto fuori Siri nell'ultimo Consiglio dei ministri, la paura del premier è stata sempre quella di non far perdere consensi al M5s, che gode di un elettorato smaccatamente giustizialista, con ampie strisce forcaiole. Conte quindi ha confermato che la sua è stata una "decisione politica, non banale". E no, per niente banale, perché il premier ha deciso da che parte stare, cioè da quella di Di Maio e dell'ala più giustizialista dei Cinque stelle. "Il governo vuole andare avanti con il sostegno popolare - ha insistito, in visita alla Sinagoga di Roma - È fondamentale avere la fiducia dei cittadini e la decisione odierna la conferma".

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