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Luigi Di Maio, cinque schiaffi per salvare la poltrona: M5s si rimangia tutto

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Davide Locano
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Non date retta al Luigi Di Maio finto indignato. Quello che sul blog si lamenta perché con sua «grande sorpresa» la Lega ha votato assieme al Pd e a Forza Italia per salvare Radio Radicale, col risultato che «la maggioranza di governo si è spaccata, per la prima volta». E che ritiene tale sgarbo «una cosa gravissima, di cui la Lega dovrà rispondere davanti ai cittadini». La frase che conta è un' altra, nascosta in mezzo ai soliti luoghi comuni sul movimento unico argine contro i partiti zozzoni: «Si va avanti, perché siamo persone serie». Ecco, appunto: Matteo Salvini gli ha messo le corna in pubblico e Di Maio può solo incassare e ostentare una superiorità che non c' è, perché il motivo del tradimento è semmai quello opposto, l' inferiorità dei Cinque Stelle dinanzi all' alleato, divenuta conclamata con il voto. Come dite? Che il M5S rischia di scomparire anche se sbraga nei confronti della Lega? Vero. Infatti il ministro del Lavoro non sa che pesci prendere e nella stessa condizione si trovano Roberto Fico e Davide Casaleggio. Intanto, però, guadagnano giorni e preferiscono incassare sberle piuttosto che far saltare l' esecutivo. Per tornare a casa c' è sempre tempo. Leggi anche: Il piano di Salvini per commissariare Toninelli MEGLIO RINVIARE Guardate la storia dell'"acqua pubblica". Ovvero del disegno di legge che ha l' obiettivo di togliere i privati dalla gestione delle forniture idriche del Paese. Se c' è un provvedimento che definisce l' identità del movimento è questo. Doveva essere discusso dall' assemblea di Montecitorio il 27 maggio, il giorno dopo le Europee, invece è stato rispedito in Commissione. È previsto che torni in aula a fine giugno, alla vigilia della pausa estiva, ma solo se nel frattempo i grillini avranno trovato le coperture necessarie (il testo attuale prevede di togliere un miliardo di euro l' anno agli investimenti della Difesa, e se passa così ci sarà la rivolta dei generali). Il problema vero, però, è politico: quella proposta è un concentrato di socialismo reale e alla Lega fa orrore. Prima del voto i pentastellati erano convinti di essere forti ed erano pronti ad andare al braccio di ferro con l' alleato; ora fuggono dal confronto. Stessa ragione per cui hanno rimesso nel surgelatore la proposta di legge sulla chiusura festiva dei negozi. Fino a qualche settimana fa era il fiore all' occhiello sul vestitino buono di Di Maio. Doveva consentire il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, strizzando l' occhio agli elettori cattolici. Era stato persino raggiunto uno straccio d' intesa con la Lega sul numero di esercizi da lasciare aperti. Ma quell' accordo andava bene prima di scoprire che in un anno i rapporti tra i due alleati si sono ribaltati. Può un partito che vale appena il 17% imporre una norma che le altre forze e la totalità delle associazioni del commercio giudicano una iattura? Così il testo rimane in commissione e nella maggioranza non se ne parla più. Se non a microfoni spenti, per dire che è bloccato e nessuno intende farlo ripartire. LA MORALE? PASSI... Artigli rinfoderati anche in materia di giustizia. Il caso del leghista Massimo Garavaglia è istruttivo. Il sottosegretario all' Economia è indagato dalla Corte dei Conti, che gli contesta un danno erariale tra gli 8 e i 22 milioni di euro. Poche settimane fa si sarebbe meritato la crocifissione in piazza già prima dell' eventuale condanna. Stavolta, invece, i Cinque Stelle si comportano come se Beppe Grillo li avesse cresciuti a pane a garantismo. «Commentare non mi sembrerebbe corretto: non l' ho fatto nemmeno nel caso Siri», spiegava ieri il ministro della Giustizia, lord Alfonso Bonafede. Bugia. Non solo aveva commentato, ma aveva chiesto più volte le dimissioni di Armando Siri, poiché «non si parla di una questione di giustizia, di essere innocente o di essere colpevole: si parla di una questione morale». Ma era un altro M5S. Quello di oggi è diverso al punto da rivedere il proprio atteggiamento sul decreto sblocca-cantieri, ingoiando le richieste leghiste che sono diventate parte del testo approvato ieri, inclusa la sospensione di alcune parti del codice degli appalti sino alla fine del 2020. I grillini piemontesi sono convinti che i loro "portavoce" al governo siano pronti persino a dare il via libera alla Tav tra Torino e Lione, e già sono in rivolta. Hanno capito che, per restare ministro, Di Maio è disposto a pagare un prezzo molto più alto di quello che accetterebbe la base del movimento. di Fausto Carioti

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