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Silvio Berlusconi, la voce preoccupante: "Non si arrende ma è stufo marcio". E con Matteo Salvini...

Davide Locano
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Fosse per lui ne farebbe subito un' altra. «Le campagne elettorali mi ringiovaniscono», va ripetendo dal 27 maggio. Non molla nemmeno stavolta, dopo il peggior risultato di Forza Italia in una votazione su scala nazionale. Silvio Berlusconi è stufo di certi «irriconoscenti» del suo partito, e va da sé che in cima alla lista c' è Giovanni Toti. Gli pesa anche la responsabilità di occuparsi del destino di quelli che gli sono rimasti leali. Però il suo risultato personale alle Europee gli è piaciuto, quel mezzo milione e passa di voti gli ha dato una bella carica. Lo inorgoglisce l' idea di tornare a testa alta tra i grandi e intende rituffarsi nei giochi già dal 20 giugno, quando assieme ad Antonio Tajani si presenterà al vertice dove saranno discusse le alleanze e le nomine del dopo-Juncker. Parteciperà alla prima seduta del nuovo europarlamento e si ripromette di frequentare Bruxelles più che in passato. Intanto ha ricominciato a fare il presenzialista a Roma, dove ha riunito l' ufficio di presidenza e i parlamentari azzurri. Soprattutto, venerdì 7 ha incontrato Matteo Salvini a palazzo Grazioli, e il colloquio gli ha messo addosso un altro po' di ottimismo. Leggi anche: "La sua promessa tradita": Meloni contro Berlusconi LINGUE DIVERSE Non che i due parlino la stessa lingua. Salvini crede di avere ancora qualcosa da guadagnare dalla coabitazione con Luigi Di Maio e resta quindi cauto sull' ipotesi di far cadere il governo. Però sa che il patatrac potrebbe succedere da un giorno all' altro, e in tal caso si andrebbe al voto in una delle ultime domeniche di settembre. Berlusconi è convinto che questa sia l' ipotesi più probabile e su di essa punta tutte le fiches. Passati 25 anni senza trovare un erede all' altezza, cerca in extremis il modo per uscire dalla politica, se non da vincitore, almeno da azionista decisivo della coalizione vincente, e crede di averlo trovato. Cosa ha da portare il Cavaliere alla causa dello strapotente capo leghista? Non i voti di un tempo, che quello in gran parte gli ha già sfilato, ma quanti ne bastano per fare la differenza. Un accordo elettorale, è il calcolo del redivivo Denis Verdini, consentirebbe di vincere in 100 collegi su un totale di 120. Ci si potrebbe alleare per governare insieme anche dopo le elezioni, certo, ma il bottino ai seggi sarebbe meno ricco. E Salvini - è il succo del discorso - rischierebbe di non fare il premier. IL GELO CON LA MELONI Non è un caso che ieri la smentita del ministro dell' Interno all' ipotesi di una fusione tra Lega e Forza Italia sia stata fiacca: «Non è all' ordine del giorno», si è limitato a dire. Peraltro, la cosa più probabile è che lo strumento scelto sia quello della federazione. In ogni caso la decisione sarà presa a governo caduto, non prima. Vanno meglio con Salvini, i rapporti, che con Giorgia Meloni, alla quale Berlusconi non perdona di avere fatto campagna acquisti tra i suoi (Raffaele Fitto, Elisabetta Gardini...), violando una tregua che il leghista ha invece rispettato. Così ora il fondatore ci mette la faccia e l' impegno per far capire alle truppe demoralizzate che a comandare è sempre lui, pure in questa fase estrema. Svelando il colloquio avuto con Salvini ha voluto lanciare un avvertimento agli azzurri tentati di unirsi al governatore ligure nella diaspora filoleghista: sarà lo stesso Cavaliere a siglare l' accordo della nuova alleanza, «Toti non è un leader, finirà per fare il numero due della Meloni, vedrete». Extra Silvium nulla salus, non c' è salvezza lontano da Silvio: l' ultimo dogma di fede dei forzisti, la promessa finale di Berlusconi ai suoi prima di mollare davvero. di Fausto Carioti

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