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Giuseppe Conte prova a fregare Matteo Salvini sull'autonomia: vuole fermarla e incolpare la Lega

Cristina Agostini
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Sottovalutare il Nord, con la sua voglia d'autonomia e le sue imprese, è l'errore che rischia di essere fatale a Giuseppe Conte. Nel consiglio dei ministri che giovedì dovrebbe (condizionale d' obbligo) votare il testo sull' autonomia o forse già domani, quando Conte e la leghista Erika Stefani, ministro per gli Affari Regionali, si confronteranno sullo stesso argomento con i tecnici del ministero dell' Economia. Uscita da palazzo Chigi, la Stefani riferirà a Matteo Salvini e ai governatori di Lombardia e Veneto: se dirà che Conte e gli uomini di Giuseppe Tria stanno facendo melina e la distanza tra le richieste leghiste e le proposte del governo permane ampia, Salvini non potrà fare altro che aprire la crisi. L'ultimo sbaglio il presidente del Consiglio, uomo solitamente pacato, l'ha fatto alzando i toni con Attilio Fontana e Luca Zaia, nella lettera aperta inviata a lombardi e veneti tramite il Corriere della Sera di ieri. Lì ha bollato come «insulti» le critiche mosse dai due governatori sulla lentezza e sui ripensamenti del governo. Il succo del discorso di Conte, tolti i salamelecchi, è il tentativo di scaricare su Fontana e Zaia la colpa del probabile fallimento delle trattative. Tra le righe, c' è pure la conferma di due brutte notizie. Primo: non saranno accolte tutte le richieste delle regioni del Nord, ma solo una parte. Secondo: «l' ultima parola» spetta comunque al parlamento. E lì, va da sé, potrà accadere di tutto. I due governatori gli hanno risposto con una loro lettera, in cui anticipano che non sottoscriveranno il testo che vorrebbe lui, perché lo ritengono «una farsa», e avvertono che se l' autonomia non la concede Conte «lo farà qualcun altro». Sottinteso: perché la Lega staccherà la spina. Parole e musica concordate con Matteo Salvini: anche se lui tace, la terza firma lì sotto è la sua. CERINO ACCESO - Così il cerino acceso che per giorni il segretario del Carroccio si è scambiato con Luigi Di Maio è finito nelle mani del premier. Il quale, per evitare la rottura e giocarsi le ultime carte, è costretto a fare buon viso a cattivo gioco: fa trapelare di aver notato nella replica dei governatori un «cambio dei toni, che prelude a una corretta interlocuzione istituzionale». Significa che è disposto a trattare. Ma uscire indenne da questa storia sarà per lui difficilissimo, perché l' autonomia in versione «farsa» è solo l' ultimo schiaffo, il più doloroso, dopo una lunga serie di malefatte ai danni della parte più produttiva del Paese. Il distacco tra palazzo Chigi e il mondo delle imprese è iniziato con l' approvazione del decreto dignità, accolto da Federmeccanica con l' annuncio che un' impresa manifatturiera su tre non avrebbe rinnovato i contratti a tempo determinato. Se non è andata proprio così è perché è stato trovato il modo di aggirare, almeno in parte, gli ostacoli. Però in quel momento si capì che Conte altro non era che il volto presentabile del grillismo, dal quale non sarebbe arrivato nulla di buono. LE PREBENDE - Lì è iniziata la sequela di provvedimenti scritti per penalizzare il Nord. Il reddito di cittadinanza ha premiato i meridionali due volte: perché la prebenda va più a loro che ai settentrionali e perché è uguale in tutta Italia, anche se al Sud il costo della vita è di gran lunga inferiore. Il veto all'alta velocità ferroviaria penalizza il Nordovest, proprio come il fermo imposto alla Gronda di Genova. E l' idea di costringere i negozi alla chiusura festiva è un calcio al commercio che fa male soprattutto al Nord. Non è un caso se l' attacco più forte al governo Conte da parte di un' associazione di rappresentanza sia stato lanciato alla Scala di Milano, già a ottobre, dal leader di Assolombarda, Carlo Bonomi: «No a uno Stato che chiude gli esercizi commerciali la domenica, no ad uno Stato che crede di poter gestire il trasporto aereo, no a uno Stato che si oppone alle grandi opere infrastrutturali...». Proteste che non hanno fatto vacillare l' asse tra Conte e Di Maio, nemmeno dopo il voto del 26 maggio che ha dato una dura lezione ai Cinque Stelle e consegnato il Piemonte a una maggioranza pro-Tav. Il controllo grillino sull' attività del governo rimane solidissimo, come il rapporto personale e politico che unisce il premier al suo amico e dante causa. Prova ne sono il niet di palazzo Chigi all' assunzione diretta dei docenti su base regionale e la volontà di introdurre il salario minimo orario (anch' esso identico tra Nord e Sud, ovviamente), dietro al quale Lega vede ulteriori aggravi per le imprese. di Fausto Carioti

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