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Sergio Mattarella, l'inquietante silenzio al Colle: ora è il caso che si esprima

Caterina Spinelli
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Sergio Mattarella non ha ancora nulla da dire sulla crisi di governo? Il silenzio del Quirinale vale doppio, si sa, perché si presta a infiniti retropensieri tendenziosi e ad altrettante versioni di parte offerte dai ventriloqui quirinalisti annidati un po' dappertutto. Sicché sarebbe consigliabile rompere la cortina delle interpretazioni divinatorie e produrre un fatto: il presidente della Repubblica farebbe bene a esternare alla nazione, disvelando ciò che frulla nella sua testa per diradare ogni nebbia. Del resto il primo a evocarlo è stato il premier Giuseppe Conte, l' altroieri sera, davanti alle telecamere, pungolando Matteo Salvini con parole affilate: ben altri attori sulla scena interverranno per guidare il percorso di avvicinamento alle prossime urne. Come a dire: guardate che la rottura della maggioranza gialloverde non significa che io, Luigi Di Maio e la pletora dei prossimi disoccupati seduti in Parlamento vi regaleremo il nostro scalpo; anzi, venderemo cara la pelle. Come? Il verbo chiave è "parlamentarizzare" la situazione, ovvero giostrarsi tra regole e codicilli per dilatare i tempi della sfiducia e intanto esaminare ogni plausibile (ma pure implausibile, all' occorrenza) soluzione per arrangiare un' altra maggioranza. E male che vada, i leghisti sappiano che dietro l' angolo potrebbe arrivare un governo tecnico preelettorale, sia pure privo di maggioranza alla Camera e al Senato, per addomesticare gli scossoni e rassicurare l' Europa sulla legge di stabilità autunnale. Eccetera eccetera. Giusto. Tutto vero e anche sufficiente a rendere Salvini sospettoso e inquieto, ma anche tutto volatile fintantoché il capo dello Stato non avrà battuto un colpo. E torniamo al punto. Mattarella è un abile politico al servizio della cosa pubblica, conosce il valore delle parole e bene ha fatto (quasi non c' è bisogno che glielo ricordiamo noi) a tacere fin qui, immerso com' era nelle pesanti e pensose zone d' ombre quirinalizie non rischiarate dalle roboanti e reciproche accuse degli ex alleati, dai piagnistei colpevolizzanti delle opposizioni sinistre, dai borborigmi solenni della grande stampa antigovernativa o dalle sguaiate interiezioni di quella clandestina. Adesso, tuttavia, dopo la presentazione di una mozione di sfiducia leghista contro l' avvocato di Palazzo Chigi, non c' è più ragione di restare muti. Che cosa vuole, insomma, il presidente? Al netto degli arabeschi costituzionali, grosso modo le opzioni sono due: tessere e disfare l' inveterata tela politicista per rendere impossibile a Salvini misurarsi con il consenso degli elettori, oppure imboccare la via più snella e sensata di una consultazione lampo con scioglimento delle Camere e convocazione dei comizi. I poteri del Quirinale sono più estesi di quanto si pensi; e da Francesco Cossiga all' attuale inquilino del Colle, passando per l' interventismo sovietizzante di Giorgio Napolitano, abbiamo imparato che la Costituzione materiale vigente offre a Mattarella un raggio d' azione paragonabile a quello di una Repubblica semipresidenziale. I cittadini italiani hanno il diritto di conoscere come egli intenda esercitare tali facoltà. Ciascuno con le proprie aspettative, naturalmente. Giorni fa, un illustre fossile craxiano com' è Rino Formica ha richiamato sul Manifesto lo spettro di una guerra civile, dicendo che il presidente "deve rivolgersi al Parlamento" perché "l' opinione pubblica deve sapere che ha una guida morale, politica e istituzionale". Formica drammatizza e cede al conformismo, vede un clima "da anni Trenta" che non esiste ma a modo suo coglie nel segno: le parole più attese, quelle che possono dirimere e decomprimere le pressioni politiche, oppure infiammare le polveri consegnando l' Italia a una triste parodia primonovecentesca, sono quelle del Quirinale. Che aspetta Mattarella a pronunciarle? di Alessandro Giuli

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