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Servizi segreti e Giuseppe Conte: cosa c'è dietro l'appoggio di Donald Trump. Ora si capisce tutto

Cristina Agostini
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«A very talented man who will hopefully remain Prime Minister!». Un uomo di grande talento, spero che rimanga presidente del Consiglio. Che il tweet col quale Donald Trump, lo scorso 27 agosto, benediceva un «Giuseppi» Conte in procinto di passare dal governo con la Lega al governo col Pd, fosse più di un attestato di stima personale e suggellasse invece un' intesa politica a un livello più profondo, lo si era ipotizzato subito. Perché il presidente americano voltava le spalle così platealmente a Matteo Salvini, un leader che pure aveva preso la sua amministrazione come modello, e dava il suo beneplacito a una nuova maggioranza di centrosinistra? Alcune notizie emerse nei giorni scorsi offrono qualche ipotesi di risposta. Si è appreso infatti che in quell' agosto rovente nel quale è maturata la crisi di governo, nei giorni cruciali tra l' 8 (quando la crisi è formalizzata da Salvini) e l' arringa anti-salviniana del premier in Senato del 20, una delegazione americana guidata dal ministro della Giustizia William Barr programmava con Conte un viaggio a Roma, dove si sarebbe intrattenuta con i vertici dei servizi segreti italiani all' insaputa del mondo politico. Era il giorno di Ferragosto quando gli americani sbarcarono nella Capitale, dove incontrarono il capo dei nostri 007, Gennaro Vecchione. Un colloquio per il quale era stato necessario il via libera da parte di «Giuseppi», titolare della delega ai servizi segreti. Leggi anche: "Di fronte a Reagan avresti solo balbettato Yes Sir". Conte ridicolizzato davanti a tutti: Maglie inarrestabile Ferragosto di fuoco - Secondo i giornali Usa che hanno rivelato questo incontro, gli americani cercano di capire quale ruolo abbiano avuto alcuni elementi del nostro Paese nel cosiddetto Russiagate, le presunte trame contro Hillary Clinton che sarebbero state ordite in vista delle presidenziali americane dal comitato elettorale di Trump in combutta col Cremlino. Ebbene questo Russiagate, questo complotto anti-Clinton, sarebbe in realtà un complotto inventato, una "fake news", secondo Barr, che si è impegnato in una controinchiesta con l' intento di dimostrare che le carte che inguaierebbero Trump (e che sono alla base del Russiagate) sono in realtà farlocche. La vicenda qui si complica perché, secondo alcune accuse (segnatamente, quelle di un ex consigliere di Trump, George Papadopoulos), dietro le notizie messe in circolo per screditare Trump ci sarebbe anche l' ex premier Matteo Renzi, "usato" da Barack Obama (Renzi ha annunciato querele). Dal pasticcio, qui brutalmente sintetizzato, emergono (almeno) quattro chiavi di lettura possibili. 1. L' endorsement di Trump per «Giuseppi» più che sulla stima si fonderebbe sull' interesse personale, sul "tornaConte", dello stesso Trump. Lo dimostrerebbe il fatto che i colloqui tra americani e servizi sono continuati anche dopo il primo appuntamento del 15 agosto. Il 27 settembre, Conte, che nel frattempo ha giurato come premier dell' esecutivo giallo-rosso (5 settembre), autorizza un nuovo incontro tra il ministro Burr, il procuratore John Duhram che si sta occupando in prima persona della contro-inchiesta sul Russiagate, il capo dei servizi Vecchione e i responsabili della sicurezza esterna e interna, Luciano Carta e Mario Parente. Se questa lettura è corretta, la decisione di tenere le deleghe ai servizi e di assicurarsi dunque una quota pesante di potere "reale", stretto com' era tra due vicepremier rappresentati spesso come burattinai che lo facevano muovere a comando, si è rivelata alla fine come l' arma più potente in mano all' avvocato pugliese. Quella che, nel momento più delicato, quando rischiava, alla caduta del suo primo governo, di tornare nell' anonimato, lo ha tenuto a galla e lo ha rilanciato. Ed è per questo, per disinnescarlo, che Renzi oggi gli chiede di rinunciarci. 2. La vicenda avrà un seguito: per Conte sarebbe difficile, perfino imbarazzante, sottrarsi adesso alle richieste di riferire al Copasir (la commissione parlamentare che si occupa dei servizi), dopo che lui stesso chiese insistentemente a Salvini di relazionare in Parlamento sui presunti rubli alla Lega, vicenda nella quale, peraltro, il leader leghista non era direttamente coinvolto. 3. Renzi, accusato come detto di essersi mosso a favore di Obama, alza la voce perché pensa che la sua miglior difesa, in questo momento, sia l' attacco. È il motivo che l' ha spinto a sollecitare Conte ad andare al Copasir per spiegare il suo ruolo, invitandolo pure, «nel suo interesse», a non mantenere le deleghe sugli 007. 4. Pd e M5S invece tacciono. Una reticenza in parte obbligata, visto che la vicenda potrebbe mettere in difficoltà il governo. I democratici, inoltre, non hanno certo interesse ad esporsi su un caso che li vede comunque coinvolti.: al governo c' erano loro, le deleghe sui servizi erano in mano ad ex compagni di provata fede (non a Renzi, che da premier ci aveva rinunciato), all' epoca dei (presunti) fatti. Quanto ai grillini, il possibile motivo di imbarazzo sta nel ruolo chiave che in tutto questo garbuglio pare aver avuto la Link University, l' ateneo fondato da Vincenzo Scotti che ha fatto da levatrice al M5S di governo: lì insegnava Joseph Mifsud, il professore maltese che avrebbe offerto al consulente di Trump Papadopoulos materiale in grado di compromettere la Clinton. Una "polpetta avvelenata", nella tesi di Trump. E se la tesi fosse vera, a chi toccherebbe pagare il conto? di Alessandro Giorgiutti

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