Cerca
Cerca
+

Giuseppe Conte, ombre in Vaticano. Le carte che imbarazzano il premier (e possono farlo fuori...)

Cristina Agostini
  • a
  • a
  • a

Verrà a riferire alla Camera il 5 novembre, ma prima il presidente del Consiglio ha preferito prendere carta e penna e scrivere al Financial Times per mettere a verbale la versione di Conte sulle accuse di conflitto di interesse per il caso Retelit, rilanciate qualche giorno fa proprio dal giornale della City. Vicenda complicata che ha la sua genesi a metà del 2018. Il 14 maggio dello scorso anno, infatti, l' allora semisconosciuto avvocato pugliese fornì una parere retribuito (15 mila euro) a Fiber 4.0, società controllata dal finanziere Raffaele Mincione attraverso il fondo Athena che oggi è sotto' indagine in Vaticano per un affare immobiliare. La consulenza riguardava la possibilità di applicare il golden power (il governo interviene per evitare che un gruppo strategico finisca in mani straniere) alla società di telecomunicazioni che gestisce più di 12mila chilometri di fibra ottica. Fiber, quindi Mincione, aveva da poco perso (il 27 aprile) la battaglia assembleare per la conquista del gruppo di tlc a vantaggio di una cordata formata dal fondo tedesco Shareholder Value e dal fondo pubblico libico del settore. E per ribaltare l' esito di quell'assemblea si stava giocando la carta dell' interesse strategico nazionale. Il problema è che il Conte avvocato una settimana dopo aver fornito quella consulenza retribuita viene incaricato a capo del governo. Due settimane dopo, il 2 giugno, giura da primo ministro. E tre settimane dopo, il 7 giugno, come secondo provvedimento del primo consiglio dei ministri del governo Lega-Cinque Stelle, fa applicare il golden power su Retelit. Da qui la domanda: c' è conflitto di interessi? Conte nega. Dice di non conoscere Mincione (che peraltro ha avuto rapporti di lavoro in Carige con il suo maestro professionale, Guido Alpa), anzi ci tiene a evidenziare di non sapere che dietro a Fiber ci fosse lo stesso finanziere italo-londinese. Cosa alquanto strana, per le norme antiriciclaggio, infatti, anche gli avvocati dovrebbero sapere chi sono i principali azionisti delle società che difendono. Ma evidentemente l' avvocato non si era informato. QUESTIONE DI TEMPI - Poi passa alle accuse di conflitto di interessi. E chiarisce. «Quando ero impegnato a elaborare il parere non avrei potuto immaginare che, qualche settimana dopo, un governo da me presieduto sarebbe stato chiamato a pronunciarsi esattamente sulla stessa questione... Per evitare ogni possibile conflitto di interessi - ricorda il premier al Financial Times - mi sono astenuto da qualsiasi valutazione e decisione sull' esercizio del golden power. In particolare, non ho partecipato alla riunione del Consiglio dei Ministri del 7 giugno 2018, trovandomi in quel momento in Canada per il summit del G7». Nulla che non si sapesse, era questa la versione difensiva di Conte sin dal giugno dello scorso anno. Libero ha potuto consultare alcuni documenti che pongono più di un punto di domanda rispetto alla versione autoassolutoria del capo del governo. Innanzitutto sulla questione dell' assenza al Consiglio dei ministri del 7 giugno, quando è stata decisa l' applicazione del golden power su Retelit. Leggi anche: I servizi segreti italiani e quel professore... sparito. Bomba di Molinari: "I due Trump, Conte è accerchiato" Primo punto. È il 20 aprile quando Mincione sottopone la questione del golden power su Retelit al governo Gentiloni che aveva perso le elezioni del 4 marzo ma era ancora in carica per l' ordinaria amministrazione. Conte, invece, fornisce il suo parere il 14 maggio, quando già sapeva (ci sono diverse dichiarazioni pubbliche che lo confermano) di essere in ballo per avere un ruolo importante - almeno da ministro della Pa - nel nuovo esecutivo gialloverde. Quindi, certo, che avrebbe potuto immaginare un potenziale conflitto di interessi. Secondo punto. Conte evidenzia di non aver partecipato al Cdm del 7 giugno che autorizza l' applicazione del golden power su Retelit, eppure quella decisione era stata presa ben prima dello stesso 7 giugno come conferma il decreto del presidente del Consiglio che Libero ha avuto modo di consultare. AGCOM E MISE - Il decreto evidenzia che si era arrivati a dare il via libera al golden power in virtù dell' attività istruttoria fornita dal ministero incaricato, cioè il ministero dello Sviluppo Economico, e di un parere dell' Agcom, l' autorità per la garanzia nelle telecomunicazioni. Vuol dire che quel Cdm ha avuto essenzialmente una funzione di ratifica rispetto alle decisioni prese in un momento e in un luogo differente. Morale della favola: che Conte fosse in Canada o in Groenlandia ai fini del conflitto di interessi era sostanzialmente indifferente. Terzo punto. Da chi era stata presa quella decisione? In primis dal ministero dello Sviluppo Economico che in quel momento era guidato da Luigi Di Maio che come leader del Movimento Cinque Stelle era stato anche il principale sponsor di Conte a Palazzo Chigi. Quindi dall' autorità per la garanzia nelle telecomunicazioni, l' Agcom. Nella sua consulenza, l' autorità sostiene che Retelit «dispone di reti metropolitane (MAN) in fibra ottica, router e rete di backbone per trasporto nazionale e internazionale in misura quantitativamente apprezzabile da poter essere considerata strategica nel settore delle comunicazioni». In sostanza dà il via libera al golden power. Fatto assolutamente anomalo, però, il parere non viene firmato dal presidente o dai commissari in forma collegiale ma dal segretario generale Riccardo Capecchi. Circostanza talmente anomala da rappresentare uno degli elementi più importanti del ricorso di Retelit contro il provvedimento del governo. Nella sostanza il parere dell' Agcom sarebbe illegittimo perché il segretario svolge funzioni organizzative e non ha il potere di rilasciare pareri. Su questo si esprimeranno i giudici investiti del ricorso. Il dato politico è invece abbastanza chiaro. Viene il sospetto che l'authority - il cui presidente è nominato con decreto del Quirinale su proposta del capo del governo d' intesa con il ministro dello Sviluppo - sia stata influenzata dal parere favorevole al golden power espresso dal premier Conte e che quindi non potesse esprimersi diversamente. Magari però non era convintissima e quindi si è arrivati al compromesso della firma del segretario generale. Sarebbe una conseguenza indiretta del conflitto di interessi. Ma anche su questo aspetto il presidente del Consiglio al Financial Times non dice nulla. Speriamo sia più loquace martedì in Parlamento. di Tobia De Stefano

Dai blog