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Contraddizioni sinistre: il 25 aprile è bello, il 4 novembre no

Francesco Specchia
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Salvate il 4 novembre, festa già abbastanza acciaccata di suo. Salvate il giorno del dovere e del sacrificio di centinaia di giovani morti ammazzati, dall' assalto dei comunisti arrugginiti e dai finti partigiani. Strappate il 4 novembre dalle grinfie degli anarchici, e dallo spettro di Togliatti e dal ricordo dei manifesti anni '50 in cui uno Stalin gigante godeva a calpestare il monumento del Milite ignoto. Salvate, per carità, l' onore di patria dai soliti quattro imbecilli. Perché c' è qualcosa di grottescamente antipatriottico, nel gesto di un pugno di "prof pacifisti" i quali, al liceo Marco Polo di Venezia, hanno impedito fisicamente, - nel giorno delle Festa dell' Unità Nazionale e delle Forze Armate - a due militari di spiegare agli studenti la patria, la storia e l' identità nazionale. C' è lo sfregio alla memoria condivisa nel solito Anpi, i partigiani posticci, che, a Reggio Calabria non aderisce alla ricorrenza istituzionale anzi disprezza il giorno della "vittoria mutilata" (diceva Prezzolini che, tra l' altro, era di destra); e soltanto per fare rifulgere il 25 aprile, quella sì, vera festa "dei vincitori contro i vinti". Qua l' Italia si sta rintronando. Venivano i brividi a vedere, ieri, da un lato il presidente Mattarella che a Roma deponeva le corone a i caduti; e dall' altro le manifestazioni dei "compagni" scesi "in piazza per la pace" a Messina o a Mantova, roba che evoca le temibili contro-manifestazioni socialiste al 4 novembre di settant' anni fa. Anche allora, come oggi, torme di operai listate a lutto si muovevano in branchi contro la "festa della vergogna". E oggi, come allora, alla domanda ai compagni: «perché diavolo disprezzate il 4 novembre, ricorrenza mesta, certo, ma che comunque santifica l' unità di patria?», loro ti rispondono: perché «ricorda la fine di una guerra sanguinosa». Ma allora uno si chiede: scusate, non fu sanguinoso anche il 25 aprile '45, anniversario della Resistenza che tanti lutti addusse agli italiani ghermiti dal nazifascismo? «No, il 25 aprile è diverso», ti ribattono. Ma la loro risposta è monca e livorosa. Non la sanno articolare, si perdono negli slogan, non trovano il sostegno storico al loro pregiudizio, se non nel fatto che «lì c' erano i fascisti». Sostenendo, di fatto, che la guerra partigiana fosse una guerra di serie A, il legato storico unico e indiscutibile della loro parte politica; ma dimenticando -o fingendo di dimenticare- che la prima guerra mondiale, cruenta come non mai, fu il completamento del Risorgimento e l' atto di nascita effettivo dell' unità nazionale. Lo sfregio -  Nulla di tutta questa polemica, inutile e umidiccia come la pioggia che la sta battezzando, ha senso per chi - come me- ha vissuto decenni di parate militari immerso in quello strano brodo di cultura nazionale fatto di nonni prigionieri di guerra decorati a Tobruk, di senso dell' onore innalzato sulle baionette e di presentatàrm devoti alla bandiera. Sono nipote di un eroe di guerra antifascista che, rientrato in Italia dai campi di concentramento africani, seguiva tutte le parate, del 25 aprile e del 4 novembre, sempre con un sorriso triste e lo sguardo dei commilitoni caduti negli occhi. Le riteneva, a buon titolo, feste di tutti. Se mio nonno fosse vivo direbbe che questa colorazione ideologica delle due feste nazionali (25 aprile/celebrazione dei compagni e 4 novembre/celebrazione dell' Italia borghese) è inutile. Che l' utilizzo delle due ricorrenze per rimarcare il territorio delle fazioni politiche è pura idiozia; e che tutto questo sfregia il ricordo di migliaia di soldati morti, anzi li uccide per la seconda volta. Consolazione -  Quel che mi consola è stata, ieri, in tarda serata, la reazione del Prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto, che ha chiuso la polemica del Marco Polo in modo geniale. Ha portato i vertici delle Forze Armate davanti alla banda della scuola che ha accompagnato l' alzabandiera; e pare che tutti, insegnanti, soldati, alunni abbiano tributato un grosso applauso. È l' unica cosa che rimbomberà nella memoria di molti italiani superiori alla media. riproduzione riservata. di Francesco Specchia

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