Alessandra Ghisleri su Matteo Salvini: "Perché non deve abbassare i toni, va bene così"
Sguardo distaccato. Alessandra Ghisleri, la sondaggista più coraggiosa in circolazione, direttrice di Euromedia Research, non teme di essere politicamente scorretta e non ama camminare sulle uova. Per questo è la più stimolante da sentire nei periodi di impasse, quando non si capisce che direzione prenderà il Paese. Per approfondire leggi anche: "Salvini? La sinistra lo processa per perdere" La Lega non è riuscita a far eleggere il proprio candidato in Emilia-Romagna ma la sconfitta non ha avuto ripercussioni in termini di consenso e nei sondaggi il partito viaggia ancora ampiamente sopra il 30%: come se lo spiega? «Quelle del 26 gennaio erano elezioni locali, la valenza nazionale gliel'aveva data solo Salvini, per caricare l'evento e dare una spallata al governo in caso di vittoria. L'Emilia-Romagna è territorio impervio per il centrodestra. Perfino nel 1953, quando la Dc vinse in Toscana, a Bologna venne fermata. La Lega alle Amministrative si è mantenuta ai livelli delle Europee di giugno». Mi sta dicendo che Salvini in Emilia-Romagna non ha perso? «Ha perso rispetto al suo obiettivo, ma non come partito». Anche lei pensa che abbia perso per la famosa citofonata? «Essendo Regionali, Matteo ha accantonato l'immigrazione e puntato sui temi della sicurezza e della salute, argomenti vicini alle famiglie. La citofonata non lo ha danneggiato per la supposta scorrettezza del gesto in sé ma perché nessuno vuol essere definito in un ghetto e gli abitanti del quartiere Pilastro si sono sentiti offesi. Tutti noi siamo gelosi e orgogliosi del nostro benessere, per quanto piccolo sia. L'orgoglio di appartenenza ha prevalso sulla denuncia dell'allarme sicurezza. Anche se in Emilia-Romagna Salvini ha perso perché i grillini e una parte di forzisti hanno votato Bonaccini. La Lega era una scelta di forte rottura e i cittadini hanno avuto paura di cambiare un'amministrazione consolidata e tutto sommato buona». Quindi a Salvini conviene moderare i toni? «No. Lui ha una comunicazione fatta di provocazioni e metafore legate a problemi particolari che vengono portati a livello nazionale, europeo e planetario. Alza i toni della comunicazione per puntare i riflettori su di sé e ottenere una cassa di risonanza massima». La campagna della sinistra, che lo accusa di seminare odio, lo danneggia? «Per nulla, perché lui ha la capacità di intercettare i temi che stanno a cuore alla gente. Il muro contro muro danneggia la sinistra, perché la spinge verso canoni estranei alla vita reale e ai bisogni dei cittadini. Se si prende una frase di Salvini e la si sottopone al giudizio degli italiani, la stragrande maggioranza di loro è d'accordo con il leader leghista, che quindi parla anche a chi non lo vota e così, goccia a goccia, aumenta il proprio consenso. Quello che Salvini dice, per quanto forte, ha un gradimento più alto di quello personale che Matteo vanta come leader. Però anche il capitano ha un problema». Qual è? «Come detto, deve definire meglio il contenuto della sua proposta politica». In Toscana Salvini ha più speranze di vittoria? «Forse, e certo è divertente la battaglia tra i due senatori Matteo in Toscana, ma per la Lega ora la cosa più importante sarebbe conquistare un governatore in una regione del Sud, perché sarebbe il coronamento della trasformazione del partito in forza nazionale». Per questo Forza Italia e Fratelli d'Italia difendono strenuamente i loro candidati, Fitto in Puglia e Caldoro in Campania? Vogliono frenare l'avanzata dell' alleato? «Il candidato governatore porta voti al partito, come si è visto anche recentemente in Calabria. Nel centrodestra c'è competizione interna, com'è giusto che sia, specie se si considera che si va verso un sistema proporzionale». I processi a Salvini per essersi opposto agli sbarchi degli immigrati lo agevolano o lo danneggiano in termini di consenso? «Una buona maggioranza di cittadini li vive come processi politici, quindi non hanno grandi effetti sull'immagine del leader leghista. Sul tema dei profughi è la sinistra che rischia i voti, non Salvini. La gente ha difficoltà a comprendere perché il leader leghista sia sotto processo per aver fermato i migranti mentre Conte e la Lamorgese, che hanno fatto lo stesso mentre si votava in Emilia-Romagna, non vengono toccati dalla magistratura». Quindi la sinistra sta facendo un autogol? «Gli elettori hanno la percezione che in tema di immigrazione Salvini abbia diminuito gli arrivi e sbloccato la situazione con la Ue, che si rifiutava di ripartire i profughi. Processarlo per questo non è una mossa vincente». La Lega deve guardarsi dalla Meloni? «No. Restano partiti con un elettorato differente. La Meloni è la destra conservatrice, Salvini è una destra nuova, più trasversale, tant'è che ha sottratto elettorato alla sinistra. Per questo il Pd attacca lui e non Giorgia, con la quale non è in competizione». Il Pd blandisce la Meloni in chiave anti-Lega? «Non c'è nessuna operazione Fini in corso. La sinistra accetta la Meloni perché la riconosce come suo opposto e la riesce ad affrontare. Con Salvini invece il Pd è più in difficoltà, anche perché Giorgia è in evoluzione ma in un quadro di coerenza di destra mentre Matteo è più imprevedibile». Ma se la Meloni è destra pura, chi prenderà i voti dei moderati e di Forza Italia? «La parola moderati non significa nulla. Lo è la maggioranza degli italiani, che vuole vivere in pace e libertà, senza ostacoli da parte dello Stato. Tutti siamo moderati, sogniamo una società composta che garantisca stabilità e ci consenta di creare e accrescere il nostro benessere, ma non basta presentarsi promettendo questo per prendere i voti, gli elettori li conquisti se ne scaldi gli animi, per questo contano i temi particolari e i toni chiari e decisi, in grado di veicolare i messaggi e suscitare passioni; in altre parole, i toni forti». Forza Italia è al capolinea? «Le elezioni in Calabria dimostrano di no. Silvio Berlusconi è una garanzia, è necessario ma non sufficiente. Gli azzurri devono darsi un nuovo impulso e nuovi programmi e lavorare molto su tutto il territorio nazionale, se vogliono conservare un consenso importante». Il proporzionale aiuta la destra o la sinistra? «Dipende dalla soglia di sbarramento che sarà introdotta. Certo attualmente in tutti i modelli sviluppati con la nuova proposta proporzionale il centrodestra avrebbe la maggioranza assoluta e governerebbe». Perché allora la sinistra si vuol suicidare introducendolo? «Con una soglia alta, entra in campo il concetto di voto utile e il Pd riuscirebbe ad attrarre i partitini satelliti che gli stanno intorno». Il governo è all'impasse: perché Conte è il politico più popolare dopo Mattarella? «Perché non è riferibile a nessun partito in particolare, in quanto non ha sposato la causa né di M5S né del Pd, così risulta super partes. In più lo agevola il fatto di ricoprire un ruolo istituzionale». I giallorossi non rischiano troppo nel voler prolungare l'esperienza di un governo privo di consenso popolare? «Il governo giallorosso è atteso alla prova dell'economia. Deve dimostrare di governare per il Paese e non per il potere». Non mi sembra che ci stia riuscendo... «La plastic tax, la sugar tax, la revoca del regime agevolato per certe partite Iva, l'addio alla cedolare secca sugli affitti ai negozi: sono tutti provvedimenti che ledono il consenso del governo e non è sufficiente l'apertura al taglio del cuneo fatta per rimediare in termini di immagine. Aziende e privati stanno tenendo fermi i soldi nei depositi bancari perché l'esecutivo è imprevedibile nelle sue scelte economiche: non si capisce quali decisioni saranno prese e in base a che logica». Il declino dei Cinquestelle è irreversibile? «Calma, hanno ancora il 14%...». Ma erano arrivati al 34%. Ora non li votano più neppure i percettori del reddito di cittadinanza... «In Calabria hanno raccolto meno voti rispetto ai sussidi elargiti, ma questo anche perché il reddito di cittadinanza è partito male. Criteri incerti, assegnazioni sbagliate, intoppi burocratici, difficoltà nell'opera dei navigator e nella missione di trovare lavoro ai sussidiati. La stessa difficoltà si sta replicando sul tema della prescrizione: M5S vuol farla prima della riforma del processo, ma questo comporta che la gente sia confusa in tema di giustizia, non capisce dove si vuol arrivare, e questo non aiuta il Movimento». Quanto li ha danneggiati il defilamento di Grillo e l'addio di Di Maio? «Di Maio era solo un capo politico, se ben gestito il suo addio non danneggerà il Movimento. Il passo indietro di Grillo invece ha fatto male. Se il leader è il primo a dare l' impressione di essersi allontanato, perché gli elettori dovrebbero crederci ancora?». Il Movimento sconta anche l'inconsistenza dei propri eletti e il fatto di aver fallito la prova di governo? «Se parti anti-casta e poi diventi forza di governo devi cambiare passo ed M5S non lo ha fatto. Il fatto che scenda in piazza tra qualche giorno contro la sua stessa maggioranza rischia di danneggiarlo anziché rafforzarlo, perché è difficile far capire ai cittadini cosa stai facendo. E poi agli italiani piace chi critica il potere ma amano chi è aperto verso il mercato e il lavoro e la retorica della decrescita e dell'economia sussidiata alla fine non paga». E siamo al Pd: non si sta ammazzando sull'immigrazione? «Argomento delicatissimo. Il tema è la mancata integrazione e il sospetto che ci sia un mercato sulla gestione dell' accoglienza rende i cittadini scettici. Spesso generalizzare sul razzismo, minimizzare e stigmatizzare senza offrire un tema di integrazione reale non basta a rassicurare l'elettorato. È significativo quanto successo sul coronavirus, dove il tema non è la paura dei cinesi ma quella del contagio». Zingaretti ora prepara una nuova ammucchiata stile Ulivo di Prodi: è un'idea elettoralmente vincente? «Il punto è trovare qualcuno che sia in grado di rappresentare tutti i partiti e le idee che compongono la sinistra. Serve un leader che trovi una sintesi programmatica che accomuni tutte le anime. L'Ulivo e Prodi fallirono proprio perché non riuscirono a trovare questo collante e si affidarono solo all'antiberlusconismo». Oggi il collante è solo l'antisalvinismo... «Bisogna andare oltre per vincere e durare». Zingaretti ha le stimmate del leader? «Ha un approccio morbido, da forza tranquilla, per citare Mitterand. Smussa e leviga, come l'acqua la roccia. Certo è un lavoraccio». Renzi e Itaila Viva sono dentro o fuori al progetto? «L'ex premier sta costruendo l'identità del suo nuovo partito». Che resta inchiodato sotto il 5 per cento... «Calma, non ha ancora fatto campagna elettorale. Per ora il suo è un lavoro ancora preparatorio. Ha potenzialità di crescita». E le sardine che fine faranno? «Ancora non si è capito che obiettivo abbiano. Al momento devono cercare di non farsi strumentalizzare, perché contengono tutto il mondo della sinistra e ciascuna fetta rivendica la propria posizione». Sono già divise... «Questo è normale, visto che la loro identità non è ancora definita. Per ora, restano un'incognita». di Pietro Senaldi