Matteo Renzi, ecco perché vuole andare a Palazzo Chigi
La cronaca s'arricchisce minuto dopo minuto. L'ultima pesante novità è il forfait di Enrico Letta alla direzione del Pd, un forfait che è stato interpretato come una sorta di resa e come il definitivo via libera alla staffetta (indigesta, per il premier) con Matteo Renzi. L'assemblea democratica dovrebbe sancire la volontà del principale partito di maggioranza di spedire a Palazzo Chigi il segretario, ormai convinto dello scatto in avanti. Resta però un dubbio: perché Renzi, dopo aver sempre scacciato l'ipotesi, ha deciso di mettersi in gioco e passare nella stanza dei bottoni senza il voto, ovvero senza investitura popolare? Insidie - Le insidie, per Renzi, sono molteplici. Per prime le accuse, che già piovono copiose, di voler andare a Palazzo Chigi senza alcuna legittimazione, se non quella, nei fatti, di Giorgio Napolitano - il Capo dello Stato la cui popolarità è ai minimi termini - e del suo stesso partito, il Pd. Ci sono poi le insidie parlamentari: che cosa potrà fare in più Renzi con una composizione di Camera e Senato identiche a quelle con cui si trovava a fare i conti Letta? Inoltre, ci si interroga, il sindaco non teme il logoramento, lo stesso logoramento che ha definitivamente eclissato la stella di Enrico? Magari potrà contare sull'aiuto di Forza Italia, ma per contrappasso, a sinistra, la base lo accuserà di connivenza col "nemico", Silvio Berlusconi, un ritornello sempre buono quando c'è da accusare Renzi (senza contare che il suo stesso partito lo potrà accusare della medesima connivenza). Renzi, inoltre, non teme la possibilità che parte del Pd lo voglia al governo solo per logorarlo, come potrebbe logorarlo il Cavaliere indebolendo così il suo avversario più temibile? Timori - Difficile che il sindaco non abbia considerato tutte queste possibilità, queste insidie, i tranelli, le difficoltà. Difficile anche che sia sordo rispetto alle accuse di "poltronismo acuto" (tutt'altro che peregrine: sindaco, segretario, premier...) o megalomania, che sulla stampa e sui social hanno cominciato a triturarlo. E allora, perché Matteo ha deciso di lanciarsi in una sfida così difficile e impopolare (i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza degli italiani è contrario al suo blitz)? Una risposta può arrivare dal timore (di Matteo) che il governo Letta, redivivo, possa poi far bene. Se il segretario continuasse nel suo forcing pro-riforme, e se l'esecutivo (ma non il suo) le attuasse, non potrebbe intestarsene i meriti, o almeno non potrebbe farlo in maniera esclusiva, con il risultato di rendere più forte quella (estesa) parte del Pd che lo osteggia. Inoltre, sondaggi alla mano, Renzi ha compreso che la strategia di attacco continuo al collega Enrico non giova alla sua posizione: alla lunga (ma anche nell'immediatezza), finirebbe per logorarlo. Anzi già lo sta logorando. Essere azionista di maggioranza quasi esclusiva di un governo che viene però continuamente criticato è un bizantinismo che l'elettorato non riesce, giustamente, a comprendere. Meglio interrompere la strategia, dunque. Riforme - Se al contrario, come sta avvenendo, Renzi decidesse di non sostenere Letta, poiché Napolitano non vuole sentir parlare di un voto anticipato (eventualità catastrofica senza far prima una riforma elettorale: si voterebbe col "Consultellum", il Porcellum depurato dalla Corte Costituzionale, una sorta di proporzionale puro), l'unica strada possibile sarebbe quella di un nuovo esecutivo. A quel punto, Matteo, altro non potrebbe fare che mettersene a capo: oltre al fatto che, ad oggi, non si vedono altre figure proponibili per Palazzo Chigi, Renzi non potrebbe più tirarsi indietro. Con una maggioranza plausibilmente allargata (a quella di Letta si aggiungerebbero alcuni grillini dissidenti, forse pezzi di Sel, su alcuni e decisivi voti Forza Italia), Renzi potrebbe fare quelle "due o tre riforme" decisive su cui si vuole giocare tutto (quella elettorale, abolizione del Senato, riforma del titolo V della Costituzione). Renzi potrebbe agire senza temere le imboscate che, sugli stessi testi, potrebbero affondare Letta. Poltrone - C'è poi una ragione, forse più decisiva delle altre, che ha convinto Renzi a sparigliare le carte. Con l'abolizione del Senato non è peregrino immaginare che la fine della legislatura possa spostarsi più in là, e di molto. Quale partito - e soprattutto quale Senato - vorrebbe congedarsi al più presto sapendo che, dalla prossima tornata elettorale, non ci sarà più trippa per gatti, ovvero poltrone? Chi vorrebbe sottoporsi volontariamente a una indigesta e indesiderata cura dimagrante? Facile ipotizzare che siano ben pochi, in ogni partito, destra, sinistra o centro che siano. Renzi lo sa, e l'idea di "blindare" la sua presenza a Palazzo Chigi lo stuzzica. Sfruttare l'altrui timore di perdere la poltrona per arrivare al 2018? Perché no, possibile: anche se l'orizzonte del 2018 pare comunque impraticabile, di sicuro i tempi nella stanza dei bottoni potrebbero dilatarsi. La politica è contingenza, si naviga a vista, le strategie sono a breve termine. E nel breve termine - deve aver pensato Renzi - è meglio comandare. Poteri - Infine un ultimo fattore, di cui dà conto Francesco Verderami sul Corriere della Sera. Anche in questo caso si tratta di poltrone. Altre poltrone, però. Il Corsera ricorda che in primavera andranno in scadenza decine di incarichi nelle aziende pubbliche: dai vertici di Enel a Finmeccanica, quindi i vertici di Eni, il cui capo - Paolo Scaroni - è in ottimi rapporti con il segretario del Pd. Verderami cita un curioso aneddoto, relativo alla puntata di Porta a Porta in cui tra gli ospiti c'erano proprio Renzi e Scaroni. Prima della trasmissione, nella saletta dove viene servito il buffet, Scaroni si avvicina a Renzi e dice a voce alta: "Matteo, hai visto quello schema che ti ho mandato? Se c'è qualcosa che non si capisce, chiamami...". Dietro lo scatto in avanti di Matteo, insomma, ci potrebbe essere anche la spinta esterna di un tessuto imprenditoriale, pubblico e privato, pronto a scommettere sul suo conto. di Andrea Tempestini @antempestini