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Merkel, banche, imprese:gli amici tedeschi di Renzi

Gli uomini e i dossier che collegano il Rottamatore e il suo entourage alla Germania

Matteo Legnani
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Prima della campanella, venne la Merkel. Il leggero sospetto che Matteo Renzi potesse diventare un problema deve aver colto Enrico Letta nel luglio 2013, quando l'allora sconfitto alle primarie trovò il modo di farsi ricevere da Angela Merkel, ottenendo fortissima eco sui media italiani. Quel viaggio mandò in agitazione lo staff di Palazzo Chigi, che si prodigò per far sapere che la Cancelliera aveva chiesto a Letta se la visita del sindaco di Firenze avrebbe rappresentato un problema per il presidente del Consiglio. Confermando la versione lettiana, la Merkel disse che all'origine dell'incontro c'era «un'intervista su un giornale tedesco sui temi europei e le sfide italiane» trovata «molto interessante». «Ho pensato che se conosco qualcun altro non è male», tanto più che «Firenze è una bella città», spiegò prima di una battuta sul trasferimento dell'attaccante tedesco Mario Gomez dal Bayern alla Fiorentina. Visto col senno di poi, quell'incontro non era un caso.  Ma la spia del fatto che, senza immaginare chissà quali complotti, Renzi si è mosso da tempo sia sulla sponda Usa, della quale si è detto e scritto, sia su quella tedesca: cioè le due cancellerie che non si possono ignorare per chi frequenta il potere italiano.  Quali sono i gangli operativi dell'establishment filorenziano in terra di Germania? E quali gli addentellati del neoincardinato governo che da domani cercherà fiducia alle Camere? Come le lobby vicine alle ragioni di Berlino si muoveranno in occasione della partita delle nomine che riveste ben maggiore importanza rispetto alle elezioni europee? Una figura centrale in questo quadro è Lorenzo Bini Smaghi, che Renzi avrebbe voluto a via XX Settembre: esponente di una grande famiglia fiorentina, già membro del board della BCE a Francoforte, è presidente della Fondazione Palazzo Strozzi. La moglie, Veronica De Romanis, economista, è autrice di un saggio dal titolo eloquente «Il caso Germania. Così la Merkel salva l'Europa» (Marsilio, 2013). Il cugino, Jacopo Mazzei,  è protagonista del mondo bancario fiorentino: entrambi hanno finanziato la campagna renziana. Sarà interessante vedere se e come questa area di influenza si dispiegherà nell'era di Matteo. Uno dei settori da osservare più da vicino è ovviamente quello delle imprese tedesche operanti in Italia. Da questo punto di vista, per esempio, tutto ciò che ruota intorno a Siemens, il gigante di Monaco con fatturato da quasi 80 miliardi, va seguito con grande attenzione. Trattative su Ansaldo a parte, il progetto - riccamente finanziato da fondi comunitari e non - «smart cities» è uno dei campi più interessanti per lo sviluppo del colosso tedesco, ad della cui filiale italiana è Federico Golla. Del tema parlerà, come ha già fatto in più di un convegno pubblico nei mesi scorsi, con un collega membro del Consiglio generale dell'Aspen institute: Federica Guidi, vicepresidente di Ducati Energia ma soprattutto nuova inquilina del ministero dello Sviluppo economico. A parte i rapporti diretti col governo di Berlino, cruciali soprattutto nel semestre di presidenza italiano della Ue, il fronte più delicato dell'interazione italo-tedesca per Renzi resta quello bancario: Deutsche Bank e Unicredit.  L'uomo chiave del primo istituto è Flavio Valeri, che a fine 2012 il Fatto Quotidiano pizzicò a una cena tra lo stesso Renzi e alcuni big della finanza organizzata da Davide Serra. I dossier più delicati con una banca che definire «di sistema» non è fuori luogo sono legati soprattutto al proseguimento delle privatizzazioni di Poste e SACE, enti con i quali DB distribuisce prodotti finanziari.  Quanto a Unicredit, banca ovviamente italianissima ma con forti legami con la Germania, il nodo principale che coinvolge il governo è la partita della bad bank, su cui Saccomanni e Letta hanno dato versioni un po' traballanti. Acqua passata, ma il nodo resta aperto, e la sponda tra Renzi, Padoan, Bankitalia e Cdp dovrà in qualche modo scioglierlo tenendo conto anche di questi equilibri con Berlino. Per quanto si è visto fin qui, a Renzi non mancano - malgrado la rapidità della sua ascesa - punti di contatto con l'establishment tedesco, condizione  indispensabile per pensarsi al governo. Poi si possono usare - estremizzando - per contrattare o per prendere ordini. di Martino Cervo

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