Che le parole di Giovanni Canzio, presidente della Corte d’Appello di Milano, siano il preludio di una brutta bocciatura è forse malizioso e azzardato ipotizzarlo. Ma è chiaro che il magistrato, con la denuncia lanciata ieri nella relazione d’inaugurazione dell’anno giudiziario, abbia voluto presentare il conto. Il messaggio diretto a Silvio Berlusconi, che dopo la condanna Mediaset e la conseguente capitolazione politica aveva duramente attaccato le toghe, suona sinistro. Se non inquietante alla vigilia di una decisione importante: quella del 10 aprile, quando il presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano Pasquale Nobile De Santis e il giudice Beatrice Costi, dovranno decidere se accogliere o respingere la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali presentata dal Cavaliere stesso. «La magistratura è un soggetto irresponsabile», aveva tuonato lui all’indomani della sentenza tombale, «i giudici sono una variabile incontrollabile, anche se non eletti dal popolo rappresentano quel potere dello Stato che condiziona permanentemente la vita politica», era stato suo il leitmotiv. E ieri è arrivata la prima risposta togata unanime, proprio per bocca del presidente Giovanni Canzio: «Alcuni giudici di questo Tribunale sono stati oggetto d’ingiuste accuse d’imparzialità e di mancata serenità di giudizio, e questo solo perché investiti della definizione di procedimenti a forte sovraesposizione mediatica e rilievo politico». Apprezzamenti del presidente-relatore nei confronti dei colleghi: «quei giudici hanno saputo rispondere con sobrietà, riservatezza e imparzialità di giudizio all’infamante gogna mediatica, al dileggio, alle minacce a agli attacchi personali». A chiudere, elogi e gratitudine anche alla Suprema corte, perché con «decisione storica e imparziale» i giudici in ermellino hanno rigettato la richiesta avanzata a marzo 2013 dai difensori di Silvio Berlusconi, di trasferire a Brescia i processi Ruby e Mediaset; perché a loro dire su di essi gravava il sospetto «dell’imparzialità dei magistrati giudicanti». Un orizzonte che promette bufera sulla decisione del prossimo 10 aprile. E se a questo si aggiunge quanto previsto dalla giurisdizione, in fatto di condotta del condannato che chiede di usufruire del “progetto di riabilitazione” alternativo al carcere e meno afflittivo rispetto agli arresti domiciliari, non c’è da sentirsi tranquilli. Un autorevole magistrato di Sorveglianza del nord, spiega bene che il rigetto dell’affidamento in prova ai servizi sociali per Silvio Berlusconi, è molto più di una ipotesi. I giudici dovranno infatti decidere «sulla persona e non sul fatto» ossia sulla sentenza, che resta un dato acquisito. Insuperabile. Tradotto: il condannato Silvio Berlusconi per ottenere l’applicazione della misura richiesta, dovrà dimostrare agli assistenti sociali incaricati di relazionare al Tribunale la sua condotta, di essersi «ravveduto, pentito». E ancora: di volere «risarcire il danno commesso violando la legge», dimostrando così di poter essere «recuperato dalla società nella quale chiede di essere reintegrato». Certo, la legge sull’ordinamento penitenziario, non prevede esplicitamente che il condannato «confessi» ma valuta il suo atteggiamento «nei confronti del reato commesso», esige che ci sia «attività riparativa», o almeno, «la volontà di porre rimedio a quel reato». Va da sè che, se si va a guardare la posizione di Silvio Berlusconi, non si può che vedere pollice verso. Conclude rassegnato lo stesso giudice di Sorveglianza: «se domani i magistrati dovessero negare l’affidamento in prova ai servizi sociali all’ex capo del governo, lo stesso Tribunale non avrebbe alcuna difficoltà a motivare il rigetto stesso. Chiunque avrebbe gioco facile nello spiegare il perché di un rigetto alla luce della sua condotta». Del resto è un dato che Silvio Berlusconi non solo si sia sempre dichiarato innocente e perciò non abbia ritenuto di doversi pentire e tantomeno di dover essere rieducato; egli ha anche duramente attaccato i magistrati che a suo comprensibile parere lo hanno ininterrottamente e (come dimostrano molte sentenze) anche ingiustamente perseguito e processato. Chiaro che il rischio dei domiciliari è dietro l’angolo. E poco conta che il presidente della corte d’Appello, ieri dopo l’affondo, abbia tenuto a sottolineare che il Tribunale di Milano nel 2013 ha detto sì a ben 1.241 domande di affidamento in prova ai servizi sociali, su 2,505 richieste. Un bel record, questo 42 per cento di concessioni. Alla faccia del Cavaliere, il quale non intendendo doversi ravvedere da alcun reato o male commesso, rischia di trasformare il suo colloquio con gli assistenti sociali incaricati di “mettergli il voto di condotta” in un dialogo fra sordi. Se poi si volessero esibire le precedenti e ultime sentenze, allora addio. L’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, per esempio, a Natale è rimasto murato nella sua cella al primo piano di Rebibbia. Il Tribunale di Sorveglianza ha negato l’affidamento in prova ai servizi sociali, nonostante il via libera della Procura generale, perché Cuffaro (che sta scontando la condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra) ha accettato la sentenza, ma si è sempre dichiarato innocente. Pene alternative negate anche per i due superpoliziotti condannati per i pestaggi alla scuola Diaz durante il G8. Né Gilberto Caldarozzi, ex capo del Servizio centrale operativo della Polizia, né Francesco Gratteri già direttore dell’Anticrimine nazionale, hanno confessato le colpe che ritengono di non avere. Niente ravvedimento, niente affidamento in prova ai servizi sociali. Poco importa che non abbiano mai criticato chi li ha condannati. E abbiano invece messo le manette a Provenzano. di Cristina Lodi




