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Pietro Senaldi, retroscena Salvini. "Grillini in fila per entrare nella Lega, Matteo gli ha chiesto la prova d'amore"

Pietro Senaldi
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Da che è nata, nel 1994, la seconda Repubblica ha visto chiudersi sei legislature. Sia che si arrivasse a scadenza naturale, sia che il Parlamento si sciogliesse anzitempo, il canovaccio elettorale è sempre stato il medesimo: chi governava prima delle urne perdeva e chi era opposizione diventava maggioranza. Questo ha fatto sempre sì che, scavallata la metà della legislatura, il che avverrà tra una settimana, i cosiddetti peones, cioè i parlamentari che sostengono la maggioranza ma che non contano nulla, cominciassero ad agitarsi, in cerca di nuova collocazione per non abbandonare i velluti e gli agi del Transatlantico. Da quel momento, si riaprono i giochi e tutto diventa possibile. Nascono nuovi gruppi parlamentari e partiti che durano mezza stagione e hanno il solo scopo di creare contenitori dove i deputati a caccia di poltrone possono soggiornare prima di saltare dall'altra parte. In sintesi, inizia il grande mercato romano delle vacche. La particolarità di questa legislatura è che tra meno di quindici giorni si sarà compiuta l'automutilazione del Parlamento, che per frenare il sentimento anti-casta ha sacrificato un terzo dei propri componenti.

 

 

 

Per paradosso, a fare maggiormente le spese della decurtazione saranno i Cinquestelle, il partito che l'ha determinata e che la festeggerà come un proprio successo. Tra taglio del 33% degli onorevoli, dimezzamento dei consensi, regola del doppio mandato e normale avvicendamento della classe dirigente, al prossimo giro non saranno rieletti almeno i tre quarti degli attuali 227 deputati e 112 senatori grillini. Di Maio ha lasciato la guida del Movimento ormai da otto mesi ma non c'è un solo di questi ragazzotti in grado di rimpiazzarlo, neppure indegnamente. Si tratta di un esercito di soldati sempliciotti, per lo più senza lavoro e con un reddito medio prima del 2018 di diecimila euro, animati da una inconcludente passione politica che si sono ritrovati in Parlamento dall'oggi al domani senza una ragione tecnica né una preparazione adeguata. Un po' come se un ultras della Juventus si ritrovasse improvvisamente in campo in una partita di Champions. Farebbe dei disastri, ma per restare in campo sarebbe disposto a tutto, anche a giocare per gli avversari. E così capita infatti che più di uno tra questi privilegiati, che godono di una sorta di reddito di cittadinanza moltiplicato per venti, abbiano scambiato il leader della Lega Matteo Salvini, l'eminenza grigia del partito, Giancarlo Giorgetti, e qualche altro membro storico del Carroccio per una sorta di navigator e bussi insistentemente alle loro porte per chiedere un nuovo lavoro.

 

 

La risposta che i signorini si sentono dare è più o meno sempre la stessa: calma e gesso, pensate per la prima volta a chi siete e cosa volete, chiedetevi se avete un'idea e se essa collima in qualche modo con la visione leghista; nel caso, agite di conseguenza, lasciate M5S, andate nel Gruppo Misto e provate a fondare qualcosa di vostro. In sostanza, lavate i panni in Arno. Se poi quel gruppetto di grillini delusi dovesse crescere al punto di avere i numeri per consegnare nelle mani di Salvini una nuova maggioranza, se ne riparlerà. Il 22 settembre, all'indomani del voto e delle Regionali, questo piccolo esercito in cerca di un nuovo generale registrerà l'ennesima disfatta delle proprie truppe, che dal trionfo del marzo 2018 hanno inanellato una serie storica unica di batoste. È immaginabile che la fila davanti alle porte dei maggiorenti leghisti si allungherà e diventerà più insistente. Ma è difficile che accada qualcosa, finché i soldati sempliciotti non raggiungeranno la nuova trincea che è stata suggerita loro. E comunque se, fatto salvo qualche motivo esterno per ora inimmaginabile o una crisi di nervi collettiva dei grillini in rotta, la legislatura dovesse durare fino all'elezione del nuovo presidente della Repubblica, a inizio 2022, è allora che agli aspiranti leghisti sarà chiesta la prova d'amore: non prestarsi a nominare un capo di Stato espressione della maggioranza giallorossa, che è l'obiettivo numero uno del Pd.

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