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Nicola Zingaretti, intervista sconcertante: "A mani nude contro le destre", insulti per Salvini e Meloni

Fausto Carioti
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Rinunciate alla grammatica e al pensiero logico e leggete questa frase: «Chi insulta decine di migliaia di donne e di uomini che in queste ore stanno difendendo la democrazia italiana a mani nude, combattendo contro le destre di Salvini e Meloni, meritano rispetto e per fortuna hanno il rispetto degli italiani». L'ha detta Nicola Zingaretti in un'intervista a Sky Tg24. Testuale. Inutile cercare un'interpretazione letterale. Se ne dovrebbe dedurre che chi insulta merita (anzi «meritano») rispetto, oppure che sia in atto un combattimento «a mani nude» tra alcuni nostri connazionali (volontari dell'Anpi addestrati al corpo a corpo, si presume) e gli elettori di Lega e Fratelli d'Italia. Forse per impedire a questi ultimi di andare ai seggi il 20 e 21 settembre, che in effetti sarebbe un ottimo modo per evitare alla sinistra nuove batoste. Però l'ha vista solo Zingaretti, questa guerriglia civile, e davvero non si capisce di cosa stia parlando. Occorre quindi andare a senso, e l'unico significato possibile è che il leader democratico è disperato e ritiene il voto in programma in Toscana e altrove una sorta di appuntamento con la Storia. Al punto da invocare la frapposizione fisica dei suoi tra il nemico salvinianmeloniano e l'obiettivo, che sarebbe la guida di sei regioni tramite quel procedimento notoriamente eversivo chiamato voto democratico. Un capo di partito che esprime simili concetti, e li articola in modo tanto sconnesso, è bollito già oggi, senza aspettare il risultato delle urne, dalle quali né lui né i suoi, peraltro, attendono buone notizie (se perdono solo una regione e finisce tre a tre, al Nazareno fanno un trenino con la samba che manco a Capodanno).

 

 

I complotti - Ovunque attorno a sé Zingaretti vede complotti, e la tragedia è che non sbaglia a vederli. Quello che teme di più ha per protagonista il gruppo Repubblica-Stampa, cioè la Fiat degli Elkann. Dietro al cambio di direzione e di linea di quelle testate, tradizionali fiancheggiatrici della sinistra, scorge il disegno di far saltare Giuseppe Conte e la maggioranza giallorossa per insediare Mario Draghi a capo di un governo di salute pubblica, sorretto da una vasta alleanza estesa al centrodestra. Sarebbe un calcio nei denti al progetto di Zingaretti, che ha scommesso tutto su un accordo con i Cinque Stelle destinato a durare almeno sino al febbraio del 2022, quando lui e il resto dello stato maggiore del Pd intendono portare al Quirinale Walter Veltroni, e segnerebbe la fine anticipata e ingloriosa della sua segreteria. Dentro al partito e nella "società civile" che lo contorna, peggio ancora. Roberto Saviano lo ha preso di punta, accusandolo di «mostrare grande determinazione sulle cazzate e defilarsi sulle questioni fondamentali». Zingaretti ha dovuto rispondergli che «quando si passa agli insulti vuol dire che gli argomenti sono finiti», ed è l'ultimo scontro che avrebbe voluto, conoscendo il seguito che lo scrittore ha nel popolo di sinistra. E Mattia Santori, il leaderino delle Sardine, oggi salirà sul palco della Festa dell'Unità a Modena per dirgli che il rapporto con i Cinque Stelle è tutto sbagliato. Altri ceffoni. La figura nell'ombra, in questo caso, sarebbe Matteo Orfini, il quale ieri ha ribadito che quella col M5S è «un'alleanza provvisoria» e smania per trasformare il Pd in un partito di sinistra-sinistra, terzomondista, cui Saviano e le Sardine possano appartenere senza vergognarsi. Una trama diversa da quella che dovrebbe portare Draghi a palazzo Chigi, con cui però ha in comune la rimozione di Zingaretti dalla segreteria. Magari con la scusa di candidarlo a sindaco di Roma, come propone Orfini. Se il pover' uomo è in stato confusionale e biascica discorsi senza capo né coda, insomma, qualche motivo ce l'ha. Però a ridurlo così sono stati i colpi del fuoco amico, mica i balilla sovranisti.

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