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Referendum, Andrea Cangini: "Un voto per salvare Luigi Di Maio. Il fronte del No sta crescendo"

Enrico Paoli
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“Quando siamo partiti il rapporto era 90 a 10. La scalata dell’Everest. Stando agli ultimi dati saremmo al 30%, e sarebbe già una vittoria”. Usa il condizionale Andrea Cangini, senatore di Forza Italia, uno dei tre promotori del referendum costituzionale, assieme ai colleghi Tommaso Nannicini del Pd e Nazario Pagano degli azzurri. E non lo fa certo per tattica politica quanto per due ragioni molto chiare. Da una parte le vele del No hanno iniziato a gonfiarsi, alimentando i margini per un possibile ribaltamento del risultato. Dall’altra il costante allargamento del fronte dei sostenitori del no tende a rafforzare le ragioni di chi oppone la “competenza” alla demagogia dei 5 Stelle. Dunque una speranza, seppur flebile, c’è.

Senatore, il fronte del no si va sempre più allargando…
“Non mi aspettavano di ritrovarmi assieme ad una compagnia così eterogenea, che vede Calenda e Giorgetti schierati dalla stessa parte, passando per l’Anpi e il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Evidentemente l’assenza di argomenti concreti da parte del fronte del sì, quando spiegano i motivi per votare a favore del taglio dei parlamentari non entrano mai nel merito, ma ragionano per slogan, ha convinto chi era nel dubbio”. 

Dunque tagliare non serve?
“Se il servizio sanitario nazionale non funziona che facciamo, mandiamo a casa i medici? Non mi sembra un ragionamento sensato. Detto ciò che la Costituzione vada riformata e il bicameralismo superato è un dato oggettivo, ma occorre una riforma seria, strutturale. Non un’operazione pasticciata e demagogica. Con questo taglio lineare avremo un deficit di rappresentanza per molte realtà del Paese”.

In effetti Renzi, a suo tempo, ci aveva provato, con i risultati che sappiamo…
“Diciamo che in quella circostanza i partiti hanno avuto paura di schierarsi, non dicendo come la pensavano. Però esiste un parallelismo fra le due consultazioni”.

E qual è senatore?
“Anche questo sarà un referendum su qualcuno, nello specifico su Luigi Di Maio. E’ chiaro che il voto serve all’esponente grillino più che al Movimento stesso”. 

E questo come incide sull’elettorato?
“In modo molto marcato. Questo referendum è strategico per il centrodestra, rappresenta l’ultima occasione per sventolare la bandiera della coalizione. Se dovesse vincere il no, il governo entrerebbe automaticamente in fibrillazione, mentre il Pd imploderebbe. Zingaretti, di fatto, ha sganciato il partito dalla logica repubblicana e parlamentare. Il centrodestra dovrebbe, convintamente, essere unito nel votare no. Se vince il sì saremo fortemente penalizzati”.   

Dunque la sua è una sorta di chiamata alle armi?
“Partendo dal fatto che questa legge propone solo un taglio lineare e ottuso dei parlamentari, il tema vero è la contrapposizione fra la demagogia grilina, la vera degenerazione della politica, basata sulla presunta battaglia alla casta e l’idea della cosa pubblica come competenza e impegno civile. I veri poteri forti, oggi, non sono rappresentati da Confindustria, magari fosse così, almeno avremmo un’industria, ma dai colossi del Web”.

Dunque anche dalla piattaforma dei 5 Stelle?
“Certo, oggi la Casaleggio rappresenta un tema serio, da affrontare. La delegittimazione della politica è il loro obiettivo”.

Però ammetterà che questo è un Paese malato di mancanza di Riforme?
“Guardi, appena eletto ho presentato una proposta di legge per introdurre il presidenzialismo e potremmo partire da lì, magari. Certo che dobbiamo riformare il Paese, penso alla Camera alta come luogo delegato a rappresentare i territori, ma non con i tagli lineari previsti dal referendum o con la caccia alle streghe, facendo passare un eletto in parlamento per un perditempo. Quando mi sono candidato tutti a chiedermi perché lo stessi facendo. La logica dell’anticasta, del dagli al politico a prescindere, a solo favorito le elite”. 

 

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