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Patto Salvini-Berlusconi, Pietro Senaldi: chi ci sta, chi vuole boicottarlo e il vero obiettivo di Giancarlo Giorgetti

Pietro Senaldi
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«Non c'è niente da fare, il presidente ha già deciso». Cosi Gianni Letta risponde ai malpancisti azzurri, non molti, che gli telefonano per lamentarsi del progetto di federazione tra Forza Italia e Lega. E in effetti l'idea è particolarmente cara al Cavaliere, nella cui testa avrebbe fatto capolino fin dall'agosto scorso, quando ha iniziato a parlarne con i fedelissimi ammessi ad Arcore. In questi mesi Berlusconi avrebbe proposto a Salvini un patto d'acciaio tra i loro due partiti più di una volta, ottenendo per lo più risposte evasive. La svolta c'è stata circa un mese fa, quando il leader della Lega, confortato dal buon andamento della comune esperienza di sostegno verde -azzurro al governo Draghi, ha finalmente detto: «Si può davvero fare». Quanto il leader azzurro tenga al progetto lo si capisce dal riposizionamento del ministro Brunetta. Da sempre in rapporti conflittuali con il capo della Lega, l'economista azzurro in settimana ha chiesto un faccia a faccia con Matteo, al quale si sarebbe approcciato più o meno così: «So che abbiamo un passato burrascoso, ma vorrei che ce lo lasciassimo alle spalle perché ci terrei molto ad andare d'accordo con te d'ora in poi».

 

 

È un episodio indicativo di come gli azzurri in questo momento debbano scegliere: o stanno con il presidente, e quindi con la federazione e con Salvini, o si sfilano e devono per la prima volta costruirsi il futuro da sé. Berlusconi infatti è già addirittura oltre il processo federativo. Fosse per lui, si andrebbe direttamente al partito unico, con progetti, simbolo, capigruppo e candidati comuni. Per sé Silvio si ritaglierebbe il ruolo di presidente. Non un presidente onorario, come volevano fargli fare Toti e la Carfagna nel loro piano di rifondazione azzurra, nato morto due anni fa proprio per questa ragione, ma massimamente operativo. È evidente che il Cavaliere dovrebbe spartire il potere con Salvini, mentre oggi in Forza Italia è il dominus assoluto, però l'uomo, ecumenico per natura ed esperienza, si rende conto che è meglio cogestire una forza del 30% piuttosto che fare il bello e il cattivo tempo all'8%, ma forse anche al 7.

MEGLIO COGESTIRE
L'idea di Berlusconi naturalmente trova delle resistenze in Forza Italia, soprattutto nelle ministre Gelmini e Carfagna, che tra gli azzurri gestiscono un potere reale e temono di perderlo se inserite in una struttura più grande. Tra le due si è costituito un vero e proprio sodalizio. Ciascuna ha radunato intorno a sé, e poi messo in comune, un gruppetto di parlamentari azzurri con poca arte e di parte variabile, sensibilizzati, o più precisamente terrorizzati, sul fatto che la federazione segnerebbe la loro fine politica. L'obiettivo è sottrarre con un lavoro sotterraneo Forza Italia al Cavaliere, operando sui territori, sui quali il leader azzurro non lavora più da tempo.

 

 

Le due ragionano come se Silvio non avesse un futuro, ritengono che la federazione ne decreterebbe l'uscita dalla politica reale e che conseguentemente la sua creatura resterebbe lì, disponibile per chi è in grado di pigliarsela. Mariastella opererebbe al Nord, Mara al Sud, e poi vinca la migliore. Al progetto non aderiscono Toti e Brugnaro, che hanno ottimi rapporti con la Lega e sono interessati a convergere nella federazione, anche se, come Gelmini e Carfagna, i coraggiosi d'Italia si tengono aperta la porta di una sfilacciata ammucchiata centrista, da Renzi a Calenda fino a Tabacci, e chissà chi altro. Le signore azzurre peraltro aspettano il vicepresidente Tajani al varco del voto nelle città, eventualmente pronte a imputargli anche colpe non sue. Il vero ostacolo alla federazione però non sono tanto i malpancisti azzurri quanto piuttosto quelli leghisti. Salvini infatti frena sul partito unico, perché è conscio delle tante frizioni sul territorio tra ammini stratori ed esponenti berlusconiani e leghisti. Nella fusione il capitano leghista non vede tanto un'occasione per inglobare Forza Italia, come sostengono i sabotatori azzurri della federazione, bensì un moltiplicatore di liti e problemi. Per questo Matteo spinge sulla federazione e con lui anche il ministro Giorgetti, che teoricamente sarebbe uno dei vincitori della partita, visto il suo profilo moderato e gli ottimi rapporti con Ar core, il Partito Popolare Europeo e tutto quello che il nuovo progetto rappresenta.

 

 

LO SCENARIO EUROPEO
Comunque sia, la lancetta ormai gira, anche se le possibilità che si fermi sul sì o sul no al momento sono ancora 50 e 50. Gli scettici sostengono che le unioni e le federazioni tolgano identità e quindi voti, che potrebbero finire più a sinistra come più a destra. Ma Giorgia Meloni, che viene da lontano e lontano vede, non ne è così convinta. Il predellino e il lancio del Pdl regalarono a Berlusconi una terza giovinezza e un consenso mai avuto nel Paese. Europa, Quirinale e magistratura furono obbligati a intervenire sincreticamente, e con metodi discutibili, per porgli fine. Ultimo capitolo, Bruxelles. Berlusconi, e Tajani, che del Ppe è stato presidente, sono pronti a offrire a Sal vini il pass internazionale per entrare nella stanza dei bottoni. Anche Giorgetti fa il tifo per questa soluzione. È Matteo che non avrebbe ancora deciso. Non gli va di entrare nella famiglia del centrodestra europeo dalla porta di servizio. Mantiene vivo e vegeto il progetto di un fronte conservatore nella Ue che vede la Lega, ripulita da amicizie pericolose, protagonista di un fronte chiaramente conservatore e sovranista, anche a dispetto di Fratelli d'Italia.

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