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Berlusconi-Salvini, cautela sulla Federazione di centrodestra: speaker unici in Parlamento, l'ultima proposta sul tavolo

Salvatore Dama
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Si terrà già domani, con molta probabilità, il vertice dei leader di Lega e Forza Italia per iniziare a delineare il progetto di federazione tra i due partiti. Cosa significa federarsi? Sul tavolo ci sono varie ipotesi. Dalle meno impegnative alle più invasive. Nella versione light, il tutto potrebbe risolversi con un patto di consultazione permanente tra Carroccio e Fi. Un modo per coordinarsi nelle politiche di governo e per far valere, con più forza, i temi di centrodestra, nella difficile coabitazione in una maggioranza larga con Pd e Cinque stelle. Ma ci potrebbe essere anche qualcosa di più. Ad esempio, l'indicazione di due speaker unici alla Camera e al Senato. Più probabile, come innovazione, rispetto alla nascita di gruppi parlamentari unici, ai quali la pancia forzista si oppone drasticamente. Tra gli azzurri c'è il timore di finire sopraffatti dalla forza leghi sta. Ma anche di vedere svanire le decine di cariche parlamentari, con relativi benefit, che toccano a un gruppo parlamentare: capigruppo, vice capigruppo, questori, segretari d'aula, eccetera. Insomma, non se ne parla.

 

 

 

Le perplessità

Altro tema che divide Fi è la possibilità che si arrivi aliste uniche già in vista delle prossime elezioni amministrative. Tanti, in primis il coordinatore nazionale Antonio Tajani, dicono che il simbolo di Forza Italia non si tocca: gli elettori continueranno a trovarlo sulla scheda. Pure perché i sondaggisti si divido no sulla redditività elettorale di una lista unica. Il tema comunque è al centro dell'agenda. Ieri sera ad Arcore si è riunito un vertice ristretto di Fi con Silvio Berlusconi. Proprio nelle stesse ore in cui Matteo Salvini, a Roma, incontrava il presidente del Consiglio Mario Draghi. L'entusiasmo berlusconiano per la nuova avventura si scontra con le perplessità di molti dirigenti. Per i quali già era difficile tollerare Salvini come alleato, figurarsi come leader di partito o di un patto federativo. «Un'operazione» come quella proposta dal capo leghista «richiede tempo e non si fa con un blitz», dichiara la ministra per il Sud Mara Carfagna. Sulla stessa lunghezza la collega Mariastella Gelmini: «Penso che la storia, i valori e l'identità di FI vadano difesi e rilanciati, non annacquati in soggetti nuovi o in eventuali fusioni a freddo». E poi ci sono i sondaggisti. Anche loro divisi sull'appeal elettorale che potrebbe avere un listone "Forza Lega". Nicola Piepoli è il più ottimista. Interpellato dall'Adnkronos, sostiene che la federazione «si troverebbe con una percentuale tra il 30 e il 33%. Non è affatto poco, è un terzo del mercato». Secondo Renato Mannheimer un rapporto simbiotico tra Lega e Fi servirebbe molto più alla prima: «Salvini in questo momento ha il timore di essere sorpassato da Meloni, la distanza è davvero piccola e il trend di Fratelli d'Italia è crescente». Mentre la federazione «diventerebbe il primo partito, probabilmente con Salvini leader». Adesso Forza Italia e Lega insieme «hanno il 30%. Ma in Italia», ricorda il sondaggista e sociologo, «con le fusioni spesso accade che si possa perdere un po'. Si arriverebbe al 27, 28 o 29 per cento, che sarebbe comunque un buon risultato».

 

 

 

I numeri sul tavolo

Antonio Noto, direttore dell'Istituto demoscopico Noto Sondaggi, rivela di aver già testato la performance dell'eventuale partito unico: il 25 per cento. Che è meno della somma dei due partiti (28,5): «Sostanzialmente al momento perderebbe il 3,5%, classificandosi comunque come primo partito perché nei nostri sondaggi Fratelli d'Italia si ferma al 18-19%. Quello che abbiamo fortemente riscontrato, però, è che l'elettorato di Forza Italia al Sud è molto critico nei confronti dell'unione e potrebbe andare a rivolgersi ad altri partiti». È chiaro che questa operazione politica, lasciando fuori FdI, non possa soddisfare Giorgia Meloni. Anzi: divarica ancora di più le distanze tra alleati, che già si trovano in due trincee diverse, divisi dall'appoggio all'esecutivo Draghi. Ieri a Bruxelles si è registra toil passaggio dell'eurodeputato Vincenzo Sofo dalla Lega a FdI. Una deroga al patto tra alleati, quello di non fregarsi fra di loro pezzi di classe dirigente. Ma, evidentemente, nel centrodestra non è più tempo di convenevoli. Meglio Meloni di Salvini, spiega Sofo: «La destra con Giorgia ha fatto un salto di qualità. Può diventare forza autorevole di governo senza rinunciare all'identità, in Italia e in Europa.

 

 

 

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