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Matteo Salvini e Giorgia Meloni, "miracolo a Roma": come sono arrivati alla pace grazie al "tribuno"

Antonio Rapisarda
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Lo hanno ribattezzato subito «tribuno», chi con l'intento di semplificarne il ruolo di divulgatore "civico" in radio e chi con la perfidia caricaturale che una certa sinistra utilizza davanti a un avversario che non difetta di interlocuzione con il popolo. E lui che fa? Di tutto ciò ne fa vanto e cifra programmatica. «Che bello. È il massimo che si può dare ad un romano, lo fu anche Cesare Ottaviano Augusto». Per esteso: «Giorgia, Matteo e Antonio mi hanno chiesto la buona amministrazione. Augusto che la garantì chiese una cosa sola, essere tribuno della plebe avita». Nessun rancore, giura, per le banalizzazioni dei detrattori nei suoi confronti. Ai quali, con lo spirito da civil cervant, porge l'altra guancia: «Il nostro compito è riportare la pace in questa città». E così, fra un richiamo all'epoca degli imperatori costruttori (tutt' altro che proto-grillini: «Facevano strade, ponti e acquedotti. E lo facevano per il popolo») e un invito a vivere l'identità universale della Città eterna come insegnò San Paolo (con il suo carismatico «civis romanus sum»), Enrico Michetti si è presentato al Tempio di Adriano come candidato del centrodestra per le Amministrative di Roma. Una presentazione inedita perché giocata su un campo dove la politica si misura dirado: quello dell'immaginario. Che per Michetti - professore universitario, avvocato amministrativista e inventore della Gazzetta amministrativa - ha rappresentato il dispositivo grazie al quale è diventato uno degli speaker radiofonici più ascoltati della Capitale. Tutto questo fino a due settimane fa, quando è avvenuta la laica «folgorazione»: «Ero lontano dalla politica. Poi sono andato al cospetto di Giorgia (Meloni, ndr) e mi ha stupito».

L'OCCASIONE DELLA VITA
Da qui è nata la proposta, che per l'avvocato-tribuno rappresenta «la più grande occasione della vita di poter restituire qualcosa alla mia città». Sul palco assieme a lui ovvia mente la Meloni, colei che lo ha fortemente voluto, Matteo Salvini, con l'ormai gilet grigio di ordinanza e Antonio Taja ni, con mascherina firmata Ue. Accanto al candidato sindaco per palazzo Senatorio, poi, Simonetta Matone, magistrato, volto televisivo (di casa a Porta a Porta) e "pro -sindaco" del ticket che non ha risparmiato subito una stoccata al Pd: «Ho accettato perché nella vita occorre saper rischiare. E ritengo di conoscere non soltanto la Ztl, ma soprattutto tutto ciò che di Roma viene ignorato da lungo tempo...». Pronto a fare "tris" Vittorio Sgarbi, assessore alla Cultura in pectore aspirante «alla componente miracoli: sono pronto a farli per Roma».

Con questo progetto civico la coalizione allargata - oltre a Fratelli d'Italia, Lega e FI erano presenti anche tutti i movimenti più piccoli, incluso Coraggio Italia - intende battere un fronte giallo-fucsia che a Roma si dimostra balcanizzato ancora prima di sorgere. La priorità, per i tre leader, è dire «basta al "tirocinio"» di Virginia Raggi per «ridare orgoglio a una Capitale derisa al cospet to del mondo e che in questi anni è diventata un problema dell'Italia intera». Per questo motivo è stato messo in campo «il miglior candidato» ha assicurato Giorgia Meloni. A chi le ha chiesto velenosamente in queste settimane «Michetti chi?» ha voluto ribattere pubblicamente: «Michetti uno dei principali avvocati amministrativisti d'Italia, docente universitario, cavaliere del lavoro, fondatore della Gazzetta amministrativa, chiamato dai sindaci d'Italia per risolvere i loro problemi, collaboratore con diversi ministri da consulen te...».

Di qui il guanto di sfida: «Possiamo confrontare il suo curriculum con quello degli altri candidati». Ossia con quello «dell'avvocato tirocinante dello studio Sammarco» Raggi o del «burocrate europeo, poi ministro dell'Economia di monopattini, banchi a rotelle, cashback» Gualtieri, ha chiosato con sarcasmo la leader di FdI lieta di mettere in campo, insieme agli alleati ritrovati alle Amministrative, «non un candidato ma un sindaco: una persona che se dovesse essere eletta, saprebbe esattamente dove mettere le mani». Matteo Salvini - soddisfatto da parte sua di essere in compagnia di una «comunità» che ambisce «a federare» - come obiettivo programmatico ha in testa il ribaltamento di uno dei fallimenti clamorosi della gestione Raggi: «Dobbiamo trasformare Roma in cinque anni da città del degrado inca pitale europea del green e del riciclo». Per il segretario della Lega sarebbe la vittoria più bella «degli ambientalisti della concretezza sugli ambientalisti a chiacchiere del Pd e del M5s». Quanto al candidato e alla sua vice, «a Enrico e Simonetta non chiediamo l'ordinaria amministrazione, la diamo per scontata: tombini, immondizia, che non passeggino i cinghiali, l'onestà, le diamo per scontate...i prossimi anni dovranno essere di straordinaria amministrazione».

POTERI SPECIALI
Per Antonio Tajani il buongoverno deve accompagnarsi a una riforma per troppo tempo rimandata: trasformare Roma «in una grande, vera, capitale». Per riuscirci, ha affermato il coordinatore di Forza Italia, «servono più poteri, come per tutte le grandi metropoli del mondo. Abbiamo presentato una proposta di legge, ma già si potrebbe fare di più se la sinistra avesse trasferito alcuni poteri dalla Regione alla città...». La chiusura è stata appannaggio dei due civici. Simonetta Matone - dimostrando dies sere una che non se le fa dire - ne ha approfittato per rimandare al mittente l'accusa di Enrico Letta sui magistrati candidati: «Mi sorprende, fu lui ano minarmi capo del Dipartimento degli affari di giustizia, ruolo già ricoperto da Falcone. Mi metterò in aspettativa dalla magistratura - ha spiegato ma non ho mai fatto parte di cordate». Quanto a Michetti - che ha promesso che siederà comunque in Consiglio comunale anche in caso di sconfitta - l'ingrediente segreto per lui sta nel ristabilire la congiunzione identitaria fra passato e presente: «Ogni cittadino di Roma era orgoglioso della Città eterna, dobbiamo restituire oggi l'orgoglio di Caput mundi». È difficile, lo riconosce lui stesso, «ma non è impossibile».

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