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Giorgia Meloni, perché al Meeting ha preso più applausi di Conte: Covid, Kabul e profughi, la sua ricetta

Antonio Rapisarda
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Gestione realista e concreta della crisi afghana, dopo «la fuga disordinata» di Joe Biden. Appello – con tanto di standing ovation del pubblico - a sostegno del ritorno dei partiti «pesanti» per chiudere con la stagione della «leggerezza delle posizioni» che ha minato «la qualità della nostra democrazia». Un invito al governo Draghi a non ripetere gli errori del Conte II, attivandosi davvero per la «riapertura» delle scuole nella consapevolezza che il Green pass non potrà essere «risolutivo». E soprattutto l'auspicio che si torni presto «alla normalità della democrazia», alla logica dell'alternanza rafforzata grazie a una nuova infrastruttura istituzionale: «La riforma presidenziale». I titoli della "ricetta" di Giorgia Meloni al Meeting di Rimini sono questi, a copertura di tre interventi che le hanno assegnato il posto d'onore - in compagnia di Matteo Salvini - sul podio dei leader più applauditi nel confronto andato in scena fra i segretari delle principali formazioni politiche.

 

 

 

Politica estera

Unica donna del tavolo (ruolo riconosciutole, con tanto di mea culpa, da Enrico Letta), a rappresentare l'unica opposizione presente in Parlamento (e per questo è stata ringraziata da Maurizio Lupi), la leader di Fratelli d'Italia è entrata subito nel vivo dell'emergenza Afghanistan. «La gestione della vicenda da parte dell'amministrazione Biden è stata disastrosa», è il j' accuse. Una ritirata che ha prodotto «un'umiliazione per gli Usa e l'Occidente che avrà conseguenze geopolitiche imprevedibili»: dal fondamentalismo islamico «che si fomenterà», all'allargamento «dell'influenza della Cina» nella regione fino al ruolo del Pakistan, «Stato islamico che possiede la bomba atomica e che rischia di finire sotto il controllo dei talebani». Se da un lato il disimpegno del presidente Usa ha aperto questa voragine per la sicurezza internazionale, dall'altro l'Ue proprio su questo si è rivelata, secondo la Meloni, il solito «nano politico». Dimostrazione? Un dibattito europeo, a proposito del post-8 settembre afghano, limitato al problema della gestione dei profughi. La strada del presidente di FdI - in linea con diversi premier conservatori europei - non è quella dei corridoi umanitari: «La soluzione per trenta milioni di afghani non sarà portarli in Europa» ma consentire, proprio come missione Ue, «alle nazioni limitrofe all'Afghanistan di accogliere i profughi». Sul secondo tema del lungo dibattito, il ruolo dei partiti nella ricostruzione post-Covid (quello su cui il Meeting di Cl ha incentrato l'incontro fra i leader), l'intervento della Meloni ha riscaldato decisamente l'applausometro. «Non credo che gli italiani siano delusi dalla democrazia, ma da come i partiti l'hanno interpretata», ha spiegato l'ex ministro della Gioventù proponendo la necessità di riaffermare idee forti nel dibattito pubblico attraverso una cura ricostituente della forma partitica. Al contrario di ciò che recita la vulgata, infatti, per il presidente di FdI «solo le identità deboli hanno difficoltà a confrontarsi»: sono queste ad esprimersi con quella «violenza verbale, che è un'ammissione di debolezza», la stessa che oggi «impedisce di parlare seriamente di temi e approfondire».

Green pass

Ne sa più di qualcosa la diretta interessata sia per le proprie posizioni critiche sul green pass («Divento "no vax", io vaccinata, solo perché ho detto che il governo vuole inserire surrettiziamente l'obbligo vaccinale senza assumersene la responsabilità»), sia sulla contrarietà all'adozione da parte delle coppie gay, «per cui sono tacciata di essere omofoba, quando non lo sono per nulla». Il "malato", a suo avviso, è da individuare nel modo in cui i partiti hanno inteso il proprio ruolo. «Un partito non esiste se non per realizzare un sistema di valori e una visione» ha affermato Giorgia ricordando, invece, come in questi anni «abbiamo visto partiti che hanno considerato la propria sopravvivenza l'unica ragione del proprio impegno». Ecco perché è pronta a stanare il segretario dem su un tema che le sta particolarmente a cuore: «Sono contenta di sentire Letta che parla di preferenze. Sono anni che ne sento parlare, poi ogni volta che arriva la legge elettorale in Aula l'unico partito che presenta proposte per inserirle è FdI...». L'ultimo appunto sulla questione è una stoccata senza appello alla demagogia anti-politica che ha coltivato il grillismo: «I partiti esistono solo se sono pesanti - ha ammonito -: se hanno sedi, se stanno sui territori, se si vedono e si toccano, oppure non sono partiti». Ed è qui - nonostante la leader dell'opposizione abbia pronunciato tutto ciò in collegamento - che il pubblico ciellino ha dedicato l'applauso più lungo della giornata.

 

 

 

Svolta

Giorgia Meloni guarda già al post-governissimo: «Il nostro contributo per il futuro è il ritorno a una democrazia "normale", in cui le forze politiche si assumono le loro responsabilità e quando sbagliano possono essere mandate a casa». Per rendere strutturale la democrazia decidente la chiave della numero uno di FdI è la «riforma presidenziale». Ma non solo. In un rinnovato rapporto con i corpi intermedi lo Stato che ha in mente deve diventare «alleato dei cittadini, delle imprese, delle famiglie» senza più considerare gli italiani «come sudditi». La Meloni infine non ha risparmiato critiche ai governi Conte e Draghi sulla visione del Recovery fund. «Il grande assente nel Pnrr», questa la chiosa, è la mancata risposta alla più grande emergenza in atto: «In Ue non si fanno più figli». Quanto al reddito di cittadinanza - su cui proprio dal palco del Meeting si è manifestata un'ampia maggioranza di contrari - la sentenza della Meloni è senza appello: «È devastante per le giovani generazioni».

 

 

 

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