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Giorgia Meloni e Matteo Salvini, scoppia la pace? Ecco il ruolo di Giancarlo Giorgetti: indiscreto a palazzo

Alessandro Giuli
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Il compromesso storico tra Meloni e Salvini va in scena dove meno te lo aspetti, a Cernobbio, lago di Como, a margine del prestigioso Forum Ambrosetti: con Giorgia rilassata e rosa vestita che si concede la battuta manzoniana - "Siamo sempre promessi sposi" - dopo essersi intrattenuta per diversi minuti con Matteo, in piedi di fronte a lei seduta, accanto a loro anche il numero due della Lega nonché ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti. Di lì a poco Salvini sigillerà l'incontro sui social con un selfie sorridente corredato da didascalia affettuosa - "bella coppia" - non senza rammentare ai giornalisti presenti che lui e la presidente dei Fratelli d'Italia si preparano a governare l'Italia «tra un anno e mezzo, o forse un anno»... chissà. Dipende da come si metterà la partita per il Quirinale, ovviamente, su cui grava l'incognita di Mario Draghi e della sua volontà di traslocare da Palazzo Chigi alla scadenza del settennato di Sergio Mattarella. Ma non è stato questo il tema del confronto tra i leader dei primi due partiti italiani.

 

 

Oltre alla notizia in sé, oltre al fatto che Matteo e Giorgia si sono rivisti in amicizia dopo settimane di freddezze reciproche e rasoiate in guanti di velluto dalle sponde opposte di maggioranza e opposizione, c'era da fare il punto sulle amministrative autunnali e manifestare a cielo aperto una compattezza ritrovata non soltanto a beneficio di elettori trepidanti e avversari. Negli ultimi giorni, peraltro anche su questo giornale, si sono moltiplicate le indiscrezioni circa la possibilità che l'attuale assetto politico possa permanere immutato perfino dopo le politiche del 2023, con l'ex presidente della Bce ancora nel ruolo di premier sostenuto da una larga maggioranza trasversale e ricalcata sulla natura tecnocratica di un governo d'emergenza. Una prospettiva del tutto incomprensibile agli occhi della Meloni, molto spericolata dalle parti del Carroccio (ma non indigesta all'ala moderata e nordista), di certo non sgradita dai berlusconiani tornati rilevanti negli equilibri di Palazzo.

 

 

CAMBIO DI PARADIGMA
Si è detto e si è scritto che il centrodestra, per come l'avevamo conosciuto in oltre un quarto di secolo nel quadro bipolare inaugurato dal Cavaliere nel 1994, aveva grosso modo le ore contate. Con in più il rischio di una deflagrante scomposizione innescata dall'eventualità di mancare i bersagli grossi nell'appuntamento del 3-4 ottobre. Ebbene, il messaggio giunto ieri va nella direzione opposta e segnala per lo meno il sopraggiungere di una tregua fondata sulla durevole comunità d'interessi. Soprattutto se Draghi dovesse davvero finire quirinalizzato nel 2022, il cambio di paradigma sarebbe repentino e le probabilità di un voto anticipato crescerebbero in via esponenziale; a meno di voler immaginare in una sola legislatura un quarto esecutivo concepito in un laboratorio parlamentare parecchio distante dal profilo del consenso elettorale. In altre parole, Lega e Fratelli d'Italia hanno sancito al livello più alto una distensione nei rapporti che prelude alla federazione delle rispettive forze in vista di un obiettivo più alto. Restano immutate le divaricazioni caratteriali e la concorrenza fra le liste, ma l'accordo rinverdito prevede di non farsi inutilmente del male: Meloni giocando sulle contraddizioni della Lega al governo con il blocco egemone giallorosso, Salvini facendosi tentare da soluzioni isolazioniste per mantenere ai margini FdI.

 

 

PENSARE AL FUTURO
In breve, la disamina sui candidati sindaci è apparsa meno centrale di quanto si possa pensare - molta fiducia su Torino, zero per Bologna e Napoli, da rafforzare l'impegno per Roma e Milano - mentre di maggior interesse è stata la riflessione sulla necessità di ricalibrare sull'asse destra/sinistrala competizione elettorale. Se poi nascerà un arcipelago di centro, difficilmente potrà andare d'accordo con un Pd sequestrato ideologicamente dall'estremismo pauperista dei grillini. Anche Giorgetti, che pure della soluzione Draghi è stato il principale regista, ieri a Villa d'Este suggeriva ai due leader di smetterla con le bastonate a distanza per iniziare piuttosto a disegnare la nuova maggioranza attesa dagli italiani. 

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