Cerca
Logo
Cerca
+

Ddl Zan, altra figuraccia Pd: ritirata di Enrico Letta sulla legge. Ma i gay non erano l'emergenza?

Fausto Carioti
  • a
  • a
  • a

Meglio una ritirata in sordina di una plateale sconfitta. Enrico Letta voleva evitare di presentarsi agli elettori reduce dalla batosta in Senato sul disegno di legge Zan, e almeno questa gli è riuscita. La figuraccia arriverà comunque, ma sarà dopo le amministrative e le suppletive nel collegio senese, dove lui stesso si candida. Non prima di fine ottobre, insomma, quando al Nazareno sperano che l'impatto con la realtà sia un po' meno doloroso. Il segretario del Pd aveva promesso che il ddl sarebbe stato approvato nella versione già votata alla Camera, gradita allo stesso Alessandro Zan, alla cinofila Monica Cirinnà e agli altri pasdaran: quella che contiene una surreale definizione di «identità di genere» («l'identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall'aver concluso un percorso di transizione...»), che obbliga le scuole, incluse quelle cattoliche, a svolgere «iniziative» per indottrinare gli alunni sul concetto dell'identità di genere, e limita la libertà di espressione sancita dalla Costituzione.

 

 

CALCOLI DI BOTTEGA
Sono bastate le poche votazioni preliminari fatte prima dell'estate, però, per capire che nell'aula di palazzo Madama la sinistra non ha i numeri per far approvare quel testo. Dentro al Pd e persino tra i Cinque Stelle molti non condividono le parti più controverse del ddl, tanto che Matteo Renzi e gli altri senatori di Italia viva spingono per modificarlo d'intesa col centrodestra. Mal di pancia pronti ad esplodere durante le inevitabili votazioni a scrutinio segreto. Così la proposta, che nelle intenzioni dei democratici e dei grillini avrebbe dovuto diventare legge prima dell'estate, è stata chiusa in un cassetto, con la scusa della pausa estiva. La nuova promessa di Letta era di farla votare ed approvare a settembre, appena ricominciati i lavori parlamentari, sempre nella versione "dura e pura". Ieri, però, i suoi si sono guardati bene dal provarci.

 

 

Si è svolta la riunione dei capigruppo, ossia dei rappresentanti più importanti dei diversi partiti in Senato, per decidere il calendario delle prossime settimane, e la piddina Simona Malpezzi si è guardata bene dal chiedere di fissare una data per il ritorno in aula del ddl Zan. Lo stesso ha fatto il capogruppo del M5S, Ettore Licheri. A questo punto tutto slitta a dopo le elezioni amministrative, il cui primo turno è previsto il 3 e il 4 ottobre, seguito due settimane dopo dagli eventuali ballottaggi. Quella che per mesi è stata sbandierata come l'emergenza nazionale numero uno, ossia le discriminazioni e i maltrattamenti ai danni degli omosessuali e dei transessuali, cede così il passo ai calcoli di bottega: meglio chiedere prima il voto agli elettori e poi perdere la faccia in parlamento. Perché al momento c'è una sola certezza su quel testo: non sarà approvato nella versione cara al Pd e ai suoi alleati. Se rifiuteranno di modificarla si schianteranno e se vogliono far passare una legge sullo stesso argomento devono scendere a patti col centrodestra, riscriverla e accettare che si torni alla Camera dei deputati per un'ulteriore votazione. Pretese molto ridimensionate e tempi lunghi, insomma.

DOPPIA VELOCITÀ
Per questo, ieri hanno capito che era il caso di rimandare il momento della verità. Il racconto di Ignazio La Russa, esponente di Fratelli d'Italia e vicepresidente del Senato, è confermato da altri presenti: «Nessuno della maggioranza ha proposto di proseguire nel programma originario, che prevedeva per questa settimana il ddl Zan. Vogliono parlarne dopo le elezioni». Eppure, come ricorda La Russa, la sinistra aveva fatto portare il provvedimento in aula «prima che fossero conclusi i lavori della commissione e senza relatore, per l'urgenza che avevano. Adesso se ne parla dopo le elezioni. Strane, queste urgenze a doppia velocità». Silenzio anche da Fedez e dalla comitiva degli artisti perennemente indignati: i lavori del Senato, che sino a qualche settimana fa li appassionavano tanto, sembrano non interessarli più. Magari si risveglieranno dopo le elezioni, pure loro.

 

 

Dai blog