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Giuseppe Conte, "un accordone" per Mario Draghi al Quirinale e salvare la pensione: il piano del leader M5s

Fausto Carioti
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Chi ha paura di Mario Draghi al Quirinale? I parlamentari preoccupati di perdere il vitalizio, senza dubbio: nessuno garantisce loro che un altro premier riuscirebbe a tenere in piedi la maggioranza e la legislatura. Ma pure tra i capi dei partiti che sorreggono il governo, inconfessata, sta crescendo l'insofferenza verso il personaggio che ha rubato loro la scena nell'ultimo anno e minaccia di farlo pure per il prossimo settennato. Consentirgli di portare avanti l'incarico attuale sino alla fine della legislatura e vederlo poi partire per qualche prestigiosa istituzione internazionale è il sogno segreto di tanti. I partiti, però, sono divisi tra loro e al loro interno. Non si intravede alcun possibile accordo su altri nomi e sapere che il successore di Sergio Mattarella sarà scelto con scrutinio segreto non rasserena. Lo stesso Silvio Berlusconi, per dire, non è affatto sicuro che, se la sua candidatura andrà avanti, i parlamentari del centrodestra voteranno davvero per lui. Da qui, il pericolo: e se alla fine Draghi fosse eletto con l'appoggio degli altri e non mio?

 

 

Domanda che si stanno ponendo tutti: a nessuno piace l'idea di avere lassù, per sette anni, qualcuno che ha motivi per essere riconoscente ai tuoi avversari e magari pure ai tuoi alleati, ma non a te. Più degli altri, il problema se lo è posto Giuseppe Conte, che con il suo successore alla presidenza del consiglio non ha mai ingranato. Proprio per evitare di essere sorpassato dal resto della comitiva, il capo politico dei Cinque Stelle, spinto da una combinazione di paura e opportunismo, ha annunciato che il suo movimento è pronto a contribuire all'elezione di Draghi: «È prematuro, ma non lo possiamo escludere». Aggiungendo subito che, nel caso, andrebbe «avviato un confronto anche con le forze politiche di centrodestra» e che (ovviamente) «non dobbiamo pensare che poi si vada subito alle elezioni».

 

 

Non sono parole buttate lì a caso, ma il riferimento ad un'ipotesi che inizia a prendere corpo nei conciliaboli parlamentari: quella dell'«accordone». Un meccanismo ancora incompleto, i cui bulloni, semmai, saranno stretti a ridosso delle votazioni. Eppure, assicura un senatore del centrodestra in mezzo a questi colloqui, «è l'unico percorso in grado di portare Draghi al Quirinale». L'ostacolo principale, come noto, sono i 690 parlamentari di prima nomina, i quali perderebbero il diritto al vitalizio, nonché tutti i contributi versati sinora, qualora la legislatura finisse nella prossima primavera e loro non fossero rieletti. Il rischio che si trasformino in altrettanti franchi tiratori e votino contro Draghi è alto. Chi volesse intestarsi l'operazione dovrebbe quindi tranquillizzarli, convincerli che il cambio della guardia a palazzo Chigi non farebbe chiudere anzitempo la legislatura. Da qui l'idea dell'intesa preventiva, che funzionerebbe più o meno così: i leader della maggioranza, in nome della responsabilità verso il Paese, per proseguire l'ottimo lavoro fatto dal governo etc etc, in caso di trasloco di Draghi s' impegnerebbero a sostenere un altro esecutivo in continuità con quello attuale, il cui premier sarebbe, probabilmente, l'attuale ministro dell'Economia.

 

 

Con Draghi sul Colle, Daniele Franco a palazzo Chigi e i capi partito allineati, la legislatura sarebbe blindata e il suo prosieguo garantito. I parlamentari, a quel punto, non avrebbero più motivi d'interesse personale per impallinare l'illustre candidato. È un disegno ancora abbozzato, e Draghi, per le ragioni che si sono viste, oggi non è la prima scelta di nessun leader. Però è impossibile ignorare che la sua designazione sia, sotto molti aspetti, la più naturale. Tanto che persino Conte, il quale lo considera una sorta di usurpatore, tiene a far sapere che, se Enrico Letta, Matteo Salvini e gli altri dovessero davvero puntare su Draghi, il M5S ci starebbe. Tutto, pur di non essere lasciato indietro. 

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