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Luigi Di Maio ad Atreju: "Giorgia Meloni più affidabile di Salvini"

Antonio Rapisarda
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Con il piglio divinatorio di chi sa bene che l'edizione speciale di Atreju sarà l'ultimo appuntamento prima del conto alla rovescia per l'evento clou del 2022 - l'elezione del successore di Sergio Mattarella -, è stata la stessa Giorgia Meloni a certificare come piazza Risorgimento sarà un "Transatlantico" permanente per tutta la settimana. «Non si parlerà di Quirinale, nel senso di dire come andrà a finire», ha premesso la leader di Fdi inaugurando la kermesse. «Ma siamo qui per parlare sicuramente di quale sarà la responsabilità della politica nell'elezione del capo dello Stato». E su questo, fin dal primo giorno del "Natale dei conservatori", non ha rinunciato a ribadire la sua: «Troppi pensano che serva un Capo dello Stato capace di mantenerli al potere anche se perdono le elezioni...».

 

 

 

 

Tradotto? Sotto accusa la gamba sinistra della "grande alleanza" che teme l'elezione di Mario Draghi e dunque la variante "V": il voto anticipato. Giorgia, da parte sua, cerca una figura «che faccia rispettare la Costituzione, le regole, difenda la sovranità nazionale». E se su questo identikit i mister X per lei sono pochi, a far lievitare subito il dibattito è stato il primo incontro di cartello: quello dedicato... al reddito di cittadinanza. Già, se il tema del confronto fra Luigi Di Maio, Giancarlo Giorgetti, Antonio Tajani e Francesco Lollobrigida è stato immaginato sul futuro del controverso sussidio, il dibattito si è acceso quando l'argomento si è spostato verso il Quirinale. Perentorio Tajani: Draghi deve restare a palazzo Chigi perché «la lotta al Covid non è ancora finita» e non c'è nessuno «che possa sostituirlo». Declinazione ovviamente diversa quella del capogruppo alla Camera di FdI. «Per essere patrioti e difendere l'interesse nazionale, lo abbiamo dimostrato, non occorre essere al governo tutti insieme», ha replicato Lollobrigida. Spiegando poi che FdI si augura la fine anticipata della legislatura: «Non perché abbiamo fretta di incassare percentuali che ci vengono attribuite» ma per chiudere «con l'incoerenza di questo governo».

 

 

 

Fra i "frenatori", come previsto, Luigi Di Maio. Che ha accarezzato i padroni di casa. «Sul Quirinale non credo che avremo problemi di affidabilità da parte dell'opposizione». Dunque? «Temo molto di più che nel centrodestra ci sia una profonda spaccatura sul Quirinale soprattutto ad opera di Salvini, che in questo momento non so quanto possa essere affidabile. Sicuramente io reputo più affidabile la Meloni». E poi: «Se il gioco è che dobbiamo eleggere un presidente per capire se andare a votare prima faremmo del male al Paese».

 

 

 

 

Il risultato? A restare spiazzato è stato Giancarlo Giorgetti, sorpreso di dover rispondere sull'affidabilità o meno del suo leader. «Faccio politica in un partito che si chiama Lega per Salvini premier», ha smorzato. «Questo quindi è l'obiettivo politico che mi motiva». A questo punto, allora, è il leghista a fare un appello agli alleati di governo: «Questo è il momento del senso di responsabilità: che significa meno dichiarazioni possibili e più riflessioni possibili». Un indizio - la prosecuzione del governo legata solo alla "produttività" dell'esecutivo - che viene letto come un assist a chi sostiene che a Draghi non resti che traslocare al Colle.

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