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Silvio Berlusconi al Quirinale, l'eterno ritorno degli anti-Cav

Francesco Carella
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Parafrasando un noto romanzo di Erich Maria Remarque potremmo dire che non vi è niente di nuovo sul fronte della cultura politica della sinistra italiana. Infatti, da trent' anni a questa parte il paradigma unificante delle sue diverse articolazioni - dagli esponenti di partito agli intellettuali di pronto intervento - continua ad essere l'antiberlusconismo. I commenti via via avanzati a partire dall'affermazione di Silvio Berlusconi sulla scena politica nazionale, sono tutti riconducibili, salvo qualche sparuta eccezione, al convincimento che si tratti di un "fenomeno populistico dai tratti criminali". Pertanto, c'è poco da stupirsi se alla vigilia dell'elezione del nuovo capo dello Stato alla cui carica aspira legittimamente il leader di Forza Italia l'universo moralistico-giacobino sia entrato in fibrillazione al punto da conferirsi il potere di decidere quali debbano essere le caratteristiche dei candidati espressi dallo schieramento di centrodestra. Chi ha memoria ricorda ciò che scrissero subito dopo le elezioni del marzo '94 i più accreditati opinionisti appartenenti alla cosiddetta élite colta progressista. Paolo Flores D'Arcais sulla rivista Micromega osserva «che la nascita di Forza Italia avviene sullo sfondo di una trattativa tra pezzi di apparato dello Stato e cupola mafiosa», mentre Eugenio Scalfari su Repubblica interpreta il consenso tributato al centrodestra come «un carico fangoso, gonfio di detriti e di frustrazioni, di anarchia e di passiva obbedienza».

 

 

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POLEMICHE SCOMPOSTE - Lo storico Pietro Scoppola in un'intervista concessa a L'Unità si dice convinto che «questa che ha vinto è l'Italia con la vocazione alla sudditanza anziché alla cittadinanza... non torna il fascismo, ma tornano i vizi degli italiani che hanno reso possibile il fascismo». Mario Pirani avverte che nel nostro Paese vi è una «cortina di ferro antropologica che divide il popolo di destra dal popolo di sinistra». Finanche studiosi solitamente lontani dalle polemiche scomposte, quali Norberto Bobbio e Massimo L. Salvadori, abbandonano gli strumenti dell'analisi razionale per trinciare giudizi irriguardosi sugli elettori del centrodestra. Il filosofo torinese sulla rivista Reset dichiara che «il popolo italiano ha dimostrato ancora una volta la tradizionale immaturità», mentre per lo storico Salvadori quel voto è «il frutto di un largo cedimento dei valori civili e dell'etica pubblica».


LA CADUTA DEL MURO - In tanti s' illudono - all'indomani della caduta del Muro con la conseguente certificazione storica della morte del comunismo- che la sinistra stia per mandare in soffitta la concezione secondo cui le masse, non avendo la maturità necessaria per prendere decisioni autonome, debbano affidarsi ad un'avanguardia in grado di guidarle verso una società più giusta. Purtroppo, la realtà è che il giacobin-leninismo, fondamento dell'autoritarismo moderno, resta ancora l'anima ispiratrice della cultura della sinistra italiana tradizionalmente portata a disconoscere il ruolo esercitato dai "liberi cittadini pensanti in un sistema democratico-liberale" nel momento in cui esprimono le loro preferenze di voto. La supponenza e il disprezzo continuano ad essere le armi preferite (quel che sta accadendo in questi giorni sulla candidatura di Berlusconi al Quirinale ne è la controprova) da una élite politico-intellettuale che, per dirla con il sociologo francese Raymond Boudon, «ignora i fondamenti del pensiero liberale e il fatto che esso sia il progenitore della democrazia e dello Stato di diritto».

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