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Gas, anche l'Ucraina costretta a finanziare il massacro russo: l'intreccio tra Kiev e Mosca

Lorenzo Mottola
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C'è molta voglia di discutere sulla strage di Bucha. Sui social network da due giorni è in corso un curioso dibattito tra chi si fida delle immagini e dei racconti raccolti dagli inviati dei quotidiani occidentali e chi invece gradisce credere alla tesi della "messa in scena" del portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, vista la sua ben nota attendibilità («la Russia non ha mai iniziato una guerra e non la inizierà ora», diceva a febbraio, mentendo sia sul passato che sul futuro). Come dimostrano i sondaggi, le teorie di Mosca per ignote ragioni piacciono soprattutto a chi orbitava attorno alla galassia No vax (qualcuno presto lo dirà: «Le stragi di civili? Sono gli effetti del vaccino!»). E si collegano a un altro tema, quello della reazione: chi non crede ai russi vorrebbe inasprire il più possibile le misure anti-russe arrivando a un blocco totale delle importazioni. I negazionisti di Bucha dicono il contrario.
In realtà, va detto, tra le due questioni non c'è la minima attinenza.

Il problema infatti non è capire se la Russia di Putin meriti sanzioni per le stragi in Ucraina, perché è evidente a qualsiasi persona dotata di un minimo di coscienza che le meriterebbe a prescindere da quanto successo nella cittadina alla periferia di Kiev. Il problema è scoprire se sia possibile farlo senza suicidarci economicamente.

 

 

I GIACIMENTI - Un esempio su tutti dà l'idea della nostra impotenza su questo fronte: ad oggi neanche l'Ucraina è riuscita a liberarsi dalla dipendenza dalle materie prime russe.
L'ufficio di Volodymyr Zelensky è tutt' ora riscaldato con il gas di Vladimir Putin. Tra i due governi ovviamente non c'è un contratto né passaggio di denaro diretto, tutto avviene grazie a intermediatori. Kiev si rivolge per gli approvvigionamenti ad alcune società europee che operano sul mercato ucraino, come Met International, Trafigura e Axpo. Insomma, teoricamente il governo ucraino si rivolge ad aziende occidentali, ma il flusso è ovviamente quello che viene dai giacimenti degli Urali.

Sì, perché va anche detto che i gasdotti che passano attraverso le aree di guerra sono ancora praticamente tutti operativi, se si escludono quelli periferici nelle zone sotto assedio o le "pipeline" distrutte dai bombardamenti. Perché danneggiare un'infrastruttura che porta benessere a Kiev e ai suoi alleati non avrebbe minimamente senso. Per dirla in maniera ancora più brutale: è anche vero che l'Unione europea sta pagando circa un miliardo al giorno per finanziare la guerra di Putin, ma è vero che perfino Zelensky (che alla Ue chiede «più coraggio») è in effetti costretto a farlo (peraltro, al momento, in gran parte con soldi che l'Occidente fornisce).

 

 

PRODUZIONE FERMA - Come Libero ha già scritto, l'Ue con i suoi soldi potrebbe garantire l'acquisto di circa 270 carri armati al giorno (Un T-14 Armata della Uralvagonzavod costa 3,7 milioni di euro). Si tratta di cifre puramente teoriche, è ovvio, perché il mercato dei blindati è un po' diverso da quello del pesce: non se ne trovano a volontà. La produzione di carri armati in Russia è ferma per mancanza di materie prime grazie proprio al blocco Nato-Ue, quindi qualcosa stiamo già facendo. Ovvio, si potrebbe fare di più, ma fino a dove è possibile arrivare? I tedeschi sostengono che nel breve periodo la loro economia non reggerebbe a sanzioni più dure. Un'ammissione pesante, a causa di anni di no-tap, no-triv, no nucleare etc. ci siamo consegnati nelle mani altrui. E ora le stesse parti politiche che hanno cavalcato quei movimenti sono anche quelle che sembrano più determinate nel voler chiedere lo stop alle importazioni, con in testa il Partito democratico. Tanto tutti sappiamo che basterà il no della Germania o dell'Ungheria di Orban (sulla quale si cerca di riversare ogni colpa) a far saltare tutto. Mentre noi possiamo chiacchierare in libertà senza ammettere che, su questo punto, siamo del tutto impotenti.

 

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