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Banche e sinistra, il complotto contro Salvini e Meloni: le indiscrezioni sulla oscura manovra

Fausto Carioti
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Si vota tra un anno, ma è già il caso di seguire certi movimenti. Perché sono iniziati in largo anticipo e vanno tutti nella stessa direzione: impedire che il centrodestra sia maggioranza nella prossima legislatura, e così possa esprimere un proprio governo, guidato- se i sondaggi hanno un senso - da Giorgia Meloni o da una figura indicata da lei, prima azionista della coalizione vincente. Il fatto che il centrodestra e i suoi leader siano spesso divisi, anche sulla guerra, e abbiano commesso errori da matita blu (la delegazione leghista all'Hotel Metropol di Mosca non aveva idea della trappola in cui si era infilata, per dirne uno) non cambia i termini della questione. Basta vedere la differenza di trattamento. Enrico Letta nell'agosto del 2019 era diventato co-presidente del gruppo cinese ToJoy Western Europe, e lo è rimasto sin quando è tornato a Roma per guidare il Pd. Beppe Grillo è di casa negli uffici dell'ambasciatore cinese a Roma, Li Junhua, a lungo referente di Luigi Di Maio, il quale ha fatto dell'Italia il primo Paese del G7 aderente alla "Nuova via della Seta", l'accordo con cui la Cina lega a sé gli altri Paesi. Quanto a Giuseppe Conte, ogni volta che apre bocca lo fa per spendersi in favore delle richieste di Mosca. Nessuno, però, li chiama a rendere conto di certe posizioni, né fa insinuazioni sui benefici che ne avrebbero ottenuto. Segno che Letta, Grillo, Di Maio e Conte sono funzionali all'obiettivo, che è - appunto - evitare un governo di centrodestra, magari guidato da un premier "scelto" dal popolo, che qui non si vede dal 2011.

 

 

UN COPIONE DA REPLICARE
Ha fatto discutere il rapporto della Goldman Sachs in cui si legge che un governo della coalizione «più scettica» verso la Ue rafforzerebbe «l'incertezza sull'implementazione del Recovery Fund, il suo impatto sulla crescita e il suo supporto alla sostenibilità del debito». Ma la banca d'affari statunitense ha solo messo nero su bianco ciò che a Washington, a Bruxelles e nelle altre capitali europee è oggetto di considerazioni persino scontate: meglio che da quelle urne non esca alcun vincitore, così che si possa replicare lo schema di governo attuale, magari guidato ancora da Mario Draghi, o uno comunque simile. Soluzione che ha estimatori in tutte le forze dell'attuale maggioranza. È il motivo per cui Salvini è diventato il primo ostacolo da abbattere. Tra gli altri dirigenti del Carroccio, l'idea era quella di metterlo alla prova alle elezioni politiche e poi, semmai, in caso di fallimento, rimpiazzarlo. Ma è un disegno che non va bene a chi vuole far saltare il tavolo prima di allora. Così Letta, quello che fa finta di non sentire quando Conte annuncia che è pronto a togliere la fiducia al governo, ieri chiedeva un pubblico processo per il leghista che si era permesso di andare a cena con l'ambasciatore russo: notizia dietro la quale molti, in parlamento, vedono una "manina" dei servizi segreti italiani, dove qualcuno che abbia il tempo per seguire simili pratiche si trova sempre. «Chiediamo risposte, non è che questa vicenda possa completarsi così», attacca Letta, sperando che lo scandaletto inneschi un cambio al vertice della Lega. Come se gli ambasciatori di tutti gli Stati coinvolti non stessero mantenendo contatti con i leader dei principali partiti, direttamente e tramite intermediari (ruolo che nel Pd è coperto da Piero Fassino).

 

 

C'È LEGA E LEGA
Giusta o sbagliata, a sinistra è diffusa la convinzione che, col Carroccio guidato da un altro, sarebbe più facile accordarsi. Motivo per cui Carlo Calenda ieri distingueva l'ex ministro dell'Interno, che «è un irresponsabile e conferma la sua sudditanza a Mosca», da quella parte della Lega che «ha una cultura di governo e non ne può più delle bambinate di Salvini», con la quale «occorre dialogare». Non si dice, ma si sa, che con un leader diverso la Lega difficilmente avrebbe la forza che oggi, malgrado la discesa nei sondaggi, mantiene (è il terzo partito, col 16% delle intenzioni di voto). E tra le carte da giocare c'è sempre il cambio della legge elettorale. Ci proveranno a settembre, quando si sarà sedimentato il risultato delle amministrative del 12 giugno e ognuno avrà tirato le proprie somme. Letta ha abbandonato la pretesa di andare al governo con la propria coalizione e ha abbracciato la causa del proporzionale, sistema che consentirebbe a ogni partito di correre da solo. Conte e Di Maio la pensano così già da tempo. «Se la Lega accetta», assicurano nel Pd, «si può fare nel giro di poche settimane». Perché dovrebbe farlo? Magari perché Salvini, in questo modo, si libererebbe dall'ipoteca della Meloni. O perché, da qui ad allora, non sarà più lui a comandare lì dentro. Il risultato sarebbe lo stesso: impedire una vittoria del centrodestra e rendere impossibile un governo guidato dalla presidente di Fdi. La quale sa bene che Salvini è solo il primo della lista. «Vi devo mettere in guardia, perché sentirete dire di tutto su Fdi e sulla sottoscritta. Ci dipingeranno come mostri», ha detto l'altro giorno, rivolta ai suoi elettori. Andrà proprio così, questo è solo l'inizio.

 

 

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